Sanremo, incontro con Roberto Ravera a Villa Magnolie

15 ottobre 2021 | 10:19
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Sanremo, incontro con Roberto Ravera a Villa Magnolie

Ha presentato il libro “Sierra Leone. Antropologia di un mondo a parte”

Sanremo. “Sierra Leone. Antropologia di un mondo a parte”.Questo è il titolo del libro che il dottor Roberto Ravera ha presentato ieri a Villa Magnolie, all’interno delle attività che l’Associazione Amici del
Cassini e il Liceo Cassini offrono alla città, davanti ad un pubblico numeroso e molto attento.

«Il titolo – ha detto l’autore – è ovviamente provocatorio, perché il piccolo paese rappresenta un esauriente esempio del West Africa, soprattutto se si riflette sul fatto che l’Africa subsahariana occupa sul pianeta una superficie cinque volte maggiore a quella dell’intera Europa. Il paese africano rappresenta “un universo che non ha ancora sperimentato un processo di disincanto come quello che ha caratterizzato l’Occidente”, un mondo fatto di riti e comportamenti, che alla nostra cultura paiono incomprensibili e assurdamente disumani, come lo schiavismo sessuale per le donne, le costanti violenze all’interno di famiglie e villaggi, storie quotidiane di bambini soldato, privati dell’infanzia, costretti a uccidere così frequentemente, che per loro dare la morte diventa l’unica fonte di sopravvivenza, l’unico modo di vivere, senza amore, senza carezze, senza quell’affetto genitoriale, che talora in Occidente diventa “ vezzeggio compiacente dell’infanzia“». «E ancora madri che non sanno abbracciare i propri figli e fanciulli che non sanno come reagire ad un bacio affettuoso, uomini e donne che si affidano ancora agli stregoni, ai traditional healer, perché li ritengono gli unici in grado di liberarli dagli spiriti maligni, perché – dice il dottor Ravera – l’animismo è ancora l’unica religione, che davvero caratterizza quel mondo».

Proprio in quel “mondo a parte” agisce Roberto Ravera insieme ai suoi collaboratori, e si occupa dei bambini, dei terribili traumi fisici e soprattutto psicologici, che la vita impone loro, senza pretendere di imporre regole, paradigmi educativi e culturali, senza dare giudizi e “guardare dall’alto”, perché l’unico modo di aiutare davvero quelle popolazioni è capire anche ciò che sembra impossibile capire. «E così il progetto, il sogno – dice ancora l’autore – di creare un villaggio alla maniera africana, per offrire l’esempio concreto che si può vivere anche senza violenze, senza paura, ma con affetto in una pacifica unione. E tutto ciò deve realizzarsi, perché l’integrazione non è un problema di un lontano futuro, ma è il problema per antonomasia del nostro mondo, del mondo di tutti . Forse finora si è sbagliato molto, si è data vita a una modernizzazione acefala, che ha creato città moderne ed occidentali come Freetown, nella quale sono totalmente assenti le più elementari ed essenziali infrastrutture, ma la speranza è che interventi concreti, mirati e culturalmente sostenibili, come quella che oggi ci è stata raccontata, possano agire come una terapia senza sosta, che convinca tutti ad intraprendere la via di un consapevole e sincero incontro fra culture«.