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Sanremo, attività di somministrazione alimenti sospesa dall’Asl1: ristoratore fa ricorso al Tar

12 ottobre 2021 | 17:30
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Sanremo, attività di somministrazione alimenti sospesa dall’Asl1: ristoratore fa ricorso al Tar

Il Tribunale amministrativo ligure ha respinto le richieste del ristoratore

Sanremo. La seconda sezione del Tribunale amministrativo regionaledella Liguria ha respinto il ricorso presentato da un ristoratore sanremese nei confronti dell’Asl1 che, a seguito di una ispezione nel locale, aveva prescritto la sospensione dell’attività di somministrazione di alimenti, imponendo al titolare di adeguare la struttura attenendosi a quanto prescritto al termine del sopralluogo prima di poter riprendere la preparazione degli alimenti.

Tutto è iniziato il 25 ottobre del 2019 quando l’azienda sanitaria locale, dopo un’ispezione avviata a seguito della segnalazione di un avventore, ha sequestrato, si legge nella sentenza del Tar «prodotti alimentari e prescritto la sospensione dell’attività di somministrazione di alimenti per contrasto con l’art. 4 del regolamento CE n. 852 del 2004».  Nel verbale redatto dagli ispettori, si legge che l’autorità sanitaria ha riscontrato le seguenti mancanze: «Pavimento con evidente presenza di sporco di vecchia data e ragnatele diffuse; pareti non lisce e prive in alcune parti di rivestimento lavabile e sanificabile con presenza di ragnatele diffuse che coinvolgono anche alcune attrezzature; piani di lavoro e frigoriferi con superfici corrose, deteriorate in molteplici punti, guarnizioni dei frigoriferi deteriorate e annerite; frigoriferi con ghiaccio e in pessime condizioni di pulizia, privi di rilevatore di temperature; lavandini con ristagni d’acqua e stoviglie non lavate; presenza in cucina di materiale non attinente la preparazione degli alimenti (carte, cd, computer, contenitori vuoti); macchinari e attrezzature privi di protezione, sporchi e arrugginiti; fili elettrici a vista; manuale Haccp che non indica le modalità di controllo dell’acqua potabile e delle preparazioni destinate alla vendita (olive in salamoia, pesto, crema di scalogno); alimenti privi di etichetta con data di preparazione, data di scadenza e ingredienti».

Il 28 ottobre dello stesso anno, il ristoratore ha presentato istanza di autotutela, dichiarando di aver rimediato alle criticità segnalate dall’Asl. Ma in un successivo sopralluogo, avvenuto il 29 ottobre, l’azienda sanitaria ha riscontrato «la persistenza delle medesime difformità riscontrate nell’ispezione precedente». E non è tutto, solo due giorni dopo, il 31 ottobre, l’Asl ha svolto un terzo controllo, riscontrando «che la merce sequestrata era stata correttamente smaltita, ma osservando ancora l’inottemperanza alle prescrizioni precedenti, “in quanto presenti ancora evidenti tracce di sporco sia sui pavimenti, sia nei lavandini, sia in alcuni arredi. I frigoriferi necessitano di essere puliti e sistemati. Il piano Haccp necessita di essere completamente rivisto e aggiornato”». Quel giorno, l’autorità sanitaria locale ha disposto la sospensione di ogni attività di preparazione e somministrazione di alimenti fin quando il ristoratore non si fosse adeguato alle prescrizioni.

Cosa che, evidentemente, non è accaduta. Almeno non secondo quanto verificato dall’Asl che il 6 dicembre 2019 è tornata nel locale e, oltre a rilevare «il mancato adeguamento alle precedenti prescrizioni» ha riscontrato pure «nuove difformità», negando ancora la riapertura dell’attività.

Il ristoratore ha impugnato l’ordinanza di sospensione della propria attività, chiedendo al Tar che l’Asl venisse condannata al risarcimento del danno causato dalla chiusura del locale e determinato in 2.545 euro, oltre alla concessione della tutela cautelare, che però il Tar, in via monocratica e poi collegiale, ha respinto. Oltre a questo, l’esercente ha anche denunciato un «intento persecutorio» dell’Asl nei suoi confronti. Ma, secondo i giudici del Tar, di questo non vi è prova, anzi «è invero improbabile – scrivono – Dato che la prima ispezione, svoltasi il 25 ottobre 2019, è stata disposta a seguito dell’esposto di un avventore».

Nei giorni scorsi, il Tar si è definitivamente pronunciato attraverso una sentenza che respinge il ricorso e condanna il ricorrente a pagare 2mila euro di spese processuali.