“E alla fine giunse Alex”, racconto inedito dello scrittore ventimigliese Davide Barella a un anno dalla tempesta

2 ottobre 2021 | 08:49
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“E alla fine giunse Alex”, racconto inedito dello scrittore ventimigliese Davide Barella a un anno dalla tempesta

L’uragano che spazzò via la passerella Squarciafichi rivive nelle parole del prof di Lettere

Ventimiglia. A un anno dal passaggio della “Tempesta Alex” che causò ingenti danni in val Roja, a Ventimiglia, in val Nervia e in valle Argentina, lo scrittore ventimigliese Davide Barella ha inviato a Riviera24.it un racconto inedito per condividerlo con i lettori del quotidiano online. Davide Barella, 49 anni, insegna Lettere all’Istituto Fermi Polo Montale di Ventimiglia. Saggista, curatore editoriale e autore di teatro sociale, è inoltre autore di numerosi racconti brevi. Come quello che vi proponiamo: “E alla fine giunse Alex“.

Pensare, sinceramente, al 2 ottobre 2020 con animo distaccato è veramente impossibile. Fu un giorno memorabile, nel senso puro e letterario dell’aggettivo, “da ricordare”. Specialmente per chi, come me, visse contemporaneamente due emozioni così tremendamente opposte da disorientare anche il più freddo dei monaci tibetani.

Nel pomeriggio, in quel di Dolceacqua, accadde di tutto. Il Nervia era gonfio da far paura, ma l’avvedutezza estiva fatta di dragaggi e manutenzione del letto e dell’alveo aveva scongiurato avvenimenti tragici. Il parcheggio vicino al Comune era allagato e per riuscire a spostare le due automobili di famiglia dovetti guadare – letteralmente – un lago di acqua sporca, ribollente di liquami usciti da tombini impazziti e ricordo di essere tornato a casa inzuppato fradicio e con un prurito sinistro alle gambe.

La mia attenzione, come d’altronde quella di altre centinaia di precari in attesa della definizione del loro presente, era tutta sul sito dell’Ufficio Scuola, che di lì a poco avrebbe pubblicato le terze chiamate per le supplenze. Il Covid, come virus globale, aveva da mesi paralizzato la mia attività, che in quel momento stava viaggiando a velocità impensabili, e si sa, più si procede spediti, più la brusca frenata fa danni. Il Covid come bestia, invece, lo avrei respirato mesi dopo, ma questa è un’altra storia. A dire il vero avevo accettato proprio la mattina stessa una supplenza di tre mesi al liceo, dove avrei fatto anche Latino, che sinceramente ho sempre adorato. E già quello mi pareva tanta roba.

Fra una folata di vento e un ramo spezzato, fra lo sbattere delle serrande e una doccia bollente a base di detergenti antibatterici, il pomeriggio moriva alle 18,30, istante in cui arrivavano insieme due notizie: avevo una cattedra di Lettere alle scuole superiori, proprio in quell’istituto professionale dove anelavo ritornare, mentre Ventimiglia era in piena tempesta e le acque del fiume Roia ormai erano giunte al limite della sopportazione degli argini.

Gioire del tutto in quel contesto apocalittico fu di fatto impossibile, ero però un tutt’uno con il fiume di adrenalina che mi pompava nelle vene. Nessuna ipocrisia, per favore, chi non sarebbe contento per aver raggiunto un risultato che di fatto di cambia la vita. Che sia in peggio o in meglio, lo lasceremo decidere al futuro, che è e resta più grande di noi.

La situazione ventimigliese, lo sappiamo, peggiorò. Madre Natura fece detonare con l’aiuto delle tenebre l’ordigno che aveva piazzato con incessante manovra di accerchiamento e sfinimento durante la giornata, la Passerella Squarciafichi implose e le acque che Fabrizio De André il Ligure chiamava “Dolcenera” invasero, frammiste a fango, fogna, detriti, disperazione, il Centro, causando danni incalcolabili e gettando solventi emotivi urticanti sulle ferite che il microbo aveva già provveduto ad aprire nel tessuto epiteliale della vita di tutti i giorni.

I dintorni non se la passarono meglio. La via di comunicazione fra Liguria, Francia e Piemonte della Valle Roia ancora oggi mostra con pudore tutte le sue mutilazioni. Di fatto, semplicemente, non esiste più. E allora nella difficoltà proviamo a comprendere quanto le campagne sociali per il potenziamento e l’adeguamento della linea della “Ferrovia delle meraviglie”, che incantava Mario Soldati al pari di tante altre migliaia di pendolari anonimi, non fossero solo un vezzo modaiolo per viaggiare su un treno storico a vapore con la Banda cittadina che ti accoglie sulle note di “Paulin”, ma incarnassero un bisogno reale del quale adesso rivendichiamo la necessità. “A buoi fuggiti”, come direbbero i nonni saggi.

E pensare che un disegno avveniristico, costellato nel frattempo di denunce, arresti, sequestri, rinvii a giudizio ecc. ecc., prevede non solo lo sfruttamento dell’arteria (che fu), ma pure lo sdoppiamento del tunnel, per raddoppiare inopinatamente il traffico e agevolarne la scorrevolezza.

Sarà. Ma credo che sia un dato di fatto che gettare il cemento ovunque, permettere o condonare di costruire sugli alvei, piuttosto che in zone franose, abbia già dimostrato di non essere la via per il futuro dei nostri figli.

Ciò nonostante, continueremo a brutalizzare un mondo che è già esausto, un pianeta che brucia sciaguratamente il suo verde, che a settembre puntualmente ha già consumato la sua scorta di energia e di risorse dell’intero anno. E questa circostanza si verifica oramai da lustri, quindi ogni anno noi perdiamo – di fatto – un trimestre di vita; per dieci anni fa trenta mesi, quasi tre anni consumati in anticipo che sottraiamo all’avvenire.

Fortunatamente ci sono, nelle tragedie, anche gli aspetti umani, che alla fine, vuoi per spirito di conservazione, vuoi per legami ancestrali, rivelano il nostro lato migliore. Ecco allora che arrivano gli Angeli del fango, senza distinzione di ceto, posizione, età, lignaggio, patrimonio, sesso, razza, religione, e organizzano un esercito di muscoli e cuore, di cervello e pancia, cercando di porre rimedio alla furia distruttiva della tempesta con la stessa disparità di forze che guidò Leonida alle Termopili contro la sterminata Persia. Resilienza senza etichette e sotto un unico vessillo.

Liguria, terra di tempeste e di eserciti laici armati di pala e stivali, amata dai grandi narratori e dai poeti che dal Romanticismo in poi erano attratti da questo territorio pieno di contraddizioni. Ne parlai proprio a Rocchetta Nervina quando fu posizionato un ponte militare che ricollegava il borgo al resto del mondo, dopo che una tempesta, un’altra, aveva portato a valle una strada costruita a monte. Stavolta Alex, questo il nome con il quale è stato battezzato l’uragano, quasi volessimo o dovessimo umanizzare le nostre responsabilità, ci ha sverniciati nelle nostre debolezze. Ogni volta parliamo di ambiente, di emissioni inquinanti, di alterazione climatica, di prevenzione, di sensibilizzazione. Come l’altra volta. E la volta prima, e la prima ancora, e alla fine giunse Alex.