L'editoriale

«Minchia signor sindaco», quando la legge la detta Claudio Scajola

Carabinieri cacciati dall'emiciclo: dal silenzio sordo delle opposizioni all'assenso riverente della maggioranza

caso scajola reazioni collage

Imperia. «L’État, c’est moi». «Lo Stato sono io». E’ la frase che, secondo uno storico, re Luigi XIV, che in Francia instaurò una monarchia assoluta per diritto divino, pronunciò il 13 aprile del 1655, il giorno in cui colui che passò alla storia come il “Re Sole” vietò ai parlamentari parigini di legiferare su materie già regolate dagli editti emanati in “lit de justice”: cioè dallo stesso sovrano che esercitava un potere assoluto, scavalcando bellamente il parlamento.

«Lo Stato sono io». Non l’ha pronunciata, questa frase, il sindaco di Imperia Claudio Scajola. Eppure ieri, quando ha cacciato una pattuglia di carabinieri intervenuti in consiglio comunale per verificare che venissero rispettate le norme (imposte dal Governo) sull’utilizzo della mascherina in luoghi chiusi, avrebbe anche potuto farlo. Tra il suo perentorio «vi ordino di uscire da qui, chiaro?» e la celebre affermazione del sovrano, la differenza non è poi molta. Innanzitutto, perché a dire a qualcuno di uscire dall’aula, semmai, sarebbe dovuto essere stato il presidente del consiglio comunale, organo super partes al quale spetta il governo dell’emiciclo. E in secondo luogo perché una cosa è la politica, un’altra la legge: e la legge, bella o brutta, comoda o scomoda che sia, è superiore al consiglio comunale. Anche a quello di Imperia, qualora qualcuno se ne fosse dimenticato.

«Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri». Questo lo ha scritto George Orwell nel suo celebre “La fattoria degli animali”: un libro durissimo ma utile a far comprendere che no, la legge non è uguale per tutti per il semplice motivo che qualcuno la legge la detta. Come Scajola, che ai carabinieri, per il mancato uso delle mascherine da parte di alcuni amministratori dice: «Questo non è un problema vostro». Davvero? Ma le mascherine, ora solo nei luoghi chiusi, sono obbligatorie per tutti. Da inizio pandemia sono fioccate migliaia di multe ad altrettanti cittadini colpevoli di non averle indossate. Nei giorni più “caldi”, quando la lotta al Covid-19 sembrava ben lontana dall’essere vinta, i sindaci facevano la loro parte, ricordando alle persone che era obbligatorio indossarle ed era giusto sanzionare chi non lo faceva correttamente. Ieri, invece, abbiamo scoperto che si possono anche togliere, se a deciderlo è un sindaco.

 

Sarebbe bastato, comunque, che il presidente del consiglio comunale Pino Camiolo facesse rispettare l’obbligo di indossare le mascherine a tutti gli assessori e consiglieri comunali ad inizio seduta, trattandosi di un luogo chiuso, direttamente (meglio) o facendolo fare dalla pattuglia dei vigili urbani che in quel contesto possono prendere ordini solo dalla presidenza, che nulla sarebbe successo. Ma sarebbe stato come darla vinta alla capogruppo pentastellata Maria Nella Ponte che aveva richiesto l’applicazione della norma prima informalmente, poi con una vera mozione d’ordine,  al presidente del parlamentino imperiese Pino Camiolo, col quale non ha mai avuto grande feeling.

Era stato buon profeta Scajola, quando il lunedì successivo al primo turno delle elezioni, scorrendo davanti ad alcuni collaboratori e giornalisti l’elenco dei consiglieri comunali che sarebbero stati eletti, indicando il nome della Ponte aveva detto “Questa è una rompi…”. Il redde rationem non è arrivato subito come col povero Biagi, ma 3 anni dopo.

Il comunicato di giunta e consiglieri parla, poi, “Pagine buia”, intesa della democrazia. Pagina buia? La notte della Repubblica sono state, casomai, la macelleria messicana della caserma Diaz (G8 di Genova del 2001, ministro dell’Interno Claudio Scajola), i fatti recenti del carcere di Santa Maria Capua a Vetere, non certo due carabinieri, forse non troppo edotti sul galateo di un consiglio comunale e mandati un tantino allo sbaraglio dai loro superiori che con gentilezza chiedono di parlare col sindaco, chiamandolo rispettosamente “signor sindaco”, dopo aver indugiato per qualche minuto all’ingresso dell’aula semplicemente allo scopo di fare quello per cui hanno giurato e sono pagati (poco): far rispettare le leggi.  Con buona pace, in questo caso, dell’indimenticato Giorgio Faletti e della sua canzone portata al Festival di Sanremo del 1994 che parlava, appunto, del sacrificio delle forze dell’ordine che riprendiamo nel titolo dell’editoriale.

Tu quoque Brute fili mii”, avrà pensato Claudio Scajola apprendendo dal nostro giornale che, a caldo, unica voce fuori dal coro, il “suo” presidente del consiglio intendeva dissociarsi dal comunicato contro i carabinieri.

Su un passaggio di una delle sue filippiche ha ragione il sindaco Scajola. E le opposizioni? Mute. Mute ieri sera e mute il giorno dopo, a pare rare eccezioni e sempre a favore del primo cittadino e contro Maria Nella Ponte. Il Movimento 5 Stelle dilaniato dalla guerra tra Giuseppe Conte e Beppe Grillo fa, forse, ancora paura?

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