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Manfredo Manfredi nel suo “diario” del 1945: «L’odore di sangue misto a polvere da sparo non lo dimenticherò mai»

25 aprile 2021 | 07:10
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Manfredo Manfredi nel suo “diario” del 1945: «L’odore di sangue misto a polvere da sparo non lo dimenticherò mai»

Tra le braccia l’amico 18enne Mario Ponzoni trucidato dai nazisti. Le memorie onorevole democristiano rivelate dalla figlia Gabriella

Imperia. «Inquelle immagini  mio padre riassumeva la sua gioventù». Lo diceGabriella Manfredi, figlia del compianto onorevole democristiano Manfred nel giorno dell’anniversario della Liberazione. La Manfredi ha deciso, infatti,  di divulgare le memorie del compianto padre,  Manfredo Manfredi.

«Costretto a sedici anni a raccogliere il cadavere del suo migliore amico fucilato da un plotone di esecuzione dell’esercito tedesco, condannato a morte dopo un processo farsa in cui non si era potuto nemmeno difendere dall’accusa di aver prodotto documenti di identità falsi per dei “banditi”. Condannato per aver aiutato i nemici dell’esercito tedesco e secondo la legge militare tedesca fucilato dal plotone di esecuzione, a diciotto anni».«Quel ragazzo si chiamava Mario Ponzoni.Mio padre aveva  16 anni, troppo pochi per andare sui monti a combattere, ma abbastanza per raccogliere i cadaveri dei fucilati dai nazifascisti», racconta con commozione Gabriella Manfredi.

«Solo dopo molti anni mio padre -prosegue la Manfredi –  iniziò a raccontare quegli episodi, che ho trascritto in forma di diario. Episodi che avevano segnato profondamente la sua vita e conseguentemente le sue scelte di impegno politico contro ogni sopruso. Il giorno dell’inaugurazione del monumento ai caduti di Pieve di Teco, posto proprio sul luogo delle esecuzioni, mio padre disse chiaramente che non aveva mai dimenticato l’odore di quei momenti. “Quell’odore del sangue sulle mie mani era il profumo della Libertà” gridò agli astanti durante il suo discorso, con la rabbia di un sedicenne che vede morire il suo amico più caro. Fu anche quella rabbia a sostenere mio padre, e molti altri come lui, in quel lungo percorso di ricostruzione di un Paese devastato ma non sconfitto. La morte di quei ragazzi ci regalò un sogno chiamato Libertà. Sta a noi coltivare quel sogno, non permettiamo a nessuno di pensare che quel sacrificio sia stato vano, che quelle giovani vite siano state spezzate per regalare la Libertà a chi non la merita».

«Ma non dimentichiamo che ogni volta che giriamo il capo dinnanzi a un sopruso, ogni volta che cambiamo canale davanti alle immagini di morte che i telegiornali ci mostrano, ogni volta che restiamo in silenzio davanti agli abusi e alle violenze, che permettiamo a qualcuno di imprigionarci, noi quei ragazzi li uccidiamo di nuovo, perché lasciamo morire il loro sogno, perché rinunciamo alla nostra Libertà. Portiamo avanti quell’ideale, la Libertà. Ora e sempre Resistenza. Non dimentichiamo. Mai», conclude Gabriella Manfredi.

Di seguito il “diario” di Manfredo Manfredi di quei giorni tragici concessoci dalla figlia Gabriella che ringraziamo 

6 gennaio 1945
Ecco, è successo. Hanno arrestato Mario. Mario amico mio, ti hanno portato ad Albenga, dicono ci sarà un processo! Ma tu cosa hai fatto?? Hai solo diciotto anni, che reato hai mai commesso? Non si riesce a sapere nulla, il Parroco ha detto che si informerà.  Aspettiamo, ma io ho paura amico mio.

10 gennaio
Amico mio non ci posso credere! Ti hanno processato, un tribunale militare tedesco, stasera è passato il
banditore con il suo tamburo per declamare a tutta Pieve la tua condanna. Amico mio, ti hanno condannato a morte. A morte!! Il tamburo rullava, e la voce stentorea ci invitava a non uscire di casa domattina, per nessun motivo. Mario ho tanta paura, non posso immaginarti solo stasera in quella cella. Il mio cuore non regge al pensiero di domani.

11 gennaio 1945
Fa freddo stamattina, i campi sono brinati, un silenzio strano ci avvolge come un sudario. Ecco il rumore delle camionette, le portiere sbattono, i chiodi degli scarponi risuonano sul selciato, insieme a pochi secchi comandi. Nel silenzio un urlo, riconosco la voce di tua madre che grida il tuo nome tra i singhiozzi, mentre l’eco dei passi si perde. Silenzio. Spari. E ancora silenzio. Le portiere sbattono ancora, le camionette ripartono. Arriva il parroco trafelato, piange. Devo andare. Devo venire da te l’ultima volta amico mio. Ti vedo sdraiato nel campo gelato di brina. Quanto sangue, esce dai fori del tuo bel maglione verde, impregna il terreno gelato, che non è più bianco ma rosso, rosso vermiglio. Penso che il tuo maglione è verde, il tuo sangue rosso e la terra bianca di gelo. Sono i colori della mia bandiera, della mia Patria. E quell’odore, di sangue misto a polvere da sparo, non lo dimenticherò mai! Ho solo sedici anni, ma sono diventato un uomo.