Triora, la rinascita dopo l’isolamento: «E’ stata dura, ma ci siamo aiutati l’un l’altro per superare le difficoltà»

15 ottobre 2020 | 20:11
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Viaggio nel borgo che per dieci giorni è rimasto sospeso, tra la speranza della rinascita e la tragedia di due operai morti mentre toglievano i detriti da una strada

Triora. «Ci siamo aiutati, l’uno con l’altro, per superare le difficoltà». A dieci giorni dall’ondata di maltempo che ha devastato l’Imperiese e danneggiato seriamente la strada provinciale 548, Triora è un paese che rinasce. Rimasto isolato da quando, nella notte tra il 2 e il 3 ottobre scorsi, una frana ha spezzato l’unico collegamento con la costa, il borgo delle streghe oggi può tirare un sospiro di sollievo.

«Tutte le mattine mi occupavo della consegna della posta, di reperire medicinali e generi di necessità, di portare con altri amministratori comunali la spesa agli abitanti più anziani: ci siamo aiutati l’un con l’altro». A fare un bilancio di quanto successo in dieci giorni di isolamento dal resto del mondo, è il consigliere comunale Bruno Mottura, che a Triora vive insieme alla moglie titolare di un bar nel cuore del paese. Giorni difficili, quelli trascorsi nel caratteristico borgo dell’alta valle Argentina, ma gli abitanti non si sono mai persi d’animo. «In confronto a quanto successo altrove non possiamo lamentarci – dichiara la sorella della titolare del negozio “La strega di Triora” -. Certo dopo il lockdown per il Covid, l’isolamento è stato l’ennesima difficoltà da superare per chi, come noi, vendendo prodotti tipici locali, vive prevalentemente di turismo».
«Poteva andare peggio – dice Inca, una giovane barista. – Inizialmente ci avevano detto che ci sarebbero voluti due mesi per riavere la strada aperta, poi sono riusciti a ripristinare il collegamento in dieci giorni. E’ andata bene così».

Salendo nel borgo avvolto dalla nebbia del tardo pomeriggio, si sente chiaro e buono il profumo del pane di Triora, prodotto giorno e notte nello storico panificio alle porte del paese. Anche per il forno non sono mancate difficoltà. «Siamo arrivati al limite con la farina che avevamo in magazzino – racconta il figlio della titolare, Mattia Rossi -. Per qualche giorno abbiamo dovuto chiudere, ora piano piano stiamo riprendendo la produzione, per rifornire i grandi punti vendita e anche le piccole botteghe che richiedono i nostri prodotti».
Visto il limite di portata del passaggio riaperto a senso unico alternato sulla SP548, per un po’ di tempo le attività dovranno arrangiarsi: «La farina la trasborderemo dai camion più grandi a quelli più piccoli, facendo carichi minori, ma almeno ora possiamo passare», conclude Rossi.

Un gruppo di residenti si ritrova al bar, a guardare la tv. Ma l’argomento non può che essere quello della fine dell’isolamento: quei dieci giorni trascorsi sospesi, quando la vita sembrava essere tornata a quella di un secolo fa. «Alla fine bastava sapersi accontentare – dice una donna -. Invece che un frutto ne mangiavi un altro, quello che c’era. Alla fine si è trattato solo di dieci giorni. Qui siamo quasi tutti anziani, ci accontentiamo di quello che c’è». «Certo era meglio se la strada non franava –, le fa eco la vicina di tavolo, celando un sorriso amaro -. Ma è andata così».

I viveri non sono mancati, a parte qualche eccezione e qualche prodotto che ancora non si trova sugli scaffali del piccolo “supermercato” del paese. A preoccupare era soprattutto il riscaldamento: in un paese non servito dal gas metano direttamente nelle case, l’unico modo per cucinare e scaldarsi è quello di utilizzare le bombole. Ma portarle, a piedi, per l’unica stradina percorribile nei dieci giorni di isolamento, non era di certo una soluzione fattibile. Difficile, anche, reperire il gasolio per il funzionamento del forno. Altra criticità, spiega ancora il consigliere comunale Mottura, era quella dei rifiuti: «Dopo tutti questi giorni rischiavamo di non reggere più – spiega -. I rifiuti si stavano accumulando, perché anche se la strada era interrotta, qui la vita è andata avanti. Finalmente da oggi possiamo portare in paese quello che serve, ma anche portare via da Triora la spazzatura».

Più a valle, la strada è franata in due punti. Il primo tra Badalucco e Montalto Ligure, “Paese romantico”, come recita il cartello di benvenuto. Il secondo, quello più preoccupante, tra Molini e Triora. Qui, per ridurre la frattura della frana è stato necessario alzare dei pali di sostegno che poggiano su un muro di cemento armato sopra una scogliera di 15 metri. La piena del torrente Argentina ha trascinato verso il mare alberi e arbusti, ma anche manufatti, come il “fungo” simbolo del ristorante Ca Mea, a Badalucco. Spazzato via anche il Laghetto delle Noci a Molini di Triora: è rimasto solo fango e pietre dove prima un verde prato accoglieva i giochi dei bambini. Un’oasi di pace, flagellata dal maltempo. Ma il pensiero, nella valle, è tutto per due vite che non ci sono più: quelle di Marco Lanteri e Maurizio Moraldo, i cugini operai morti a Bajardo in un tragico incidente sul lavoro, mentre con una ruspa spalavano via dalla strada i detriti lasciati dall’alluvione. I nomi dei due operai, di 46 e 41 anni, sono sui manifesti funebri di Badalucco, Molini, Triora. Segno di una ferita troppo recente per non fare ancora male. «La loro vita spezzata è l’unica tragedia. Abbiamo perso due amici, il resto non conta».