Diritti Lgbt+, Gimelli (Agedo) replica al vescovo di Ventimiglia-Sanremo Suetta: «Non si sentiva la mancanza del suo messaggio»
«Come dovrebbero vivere le persone Lgbt+, quale è il destino riservato loro dalle religioni “del libro”? Spiegatecelo una volta per tutte, non c’è bisogno di misericordia, ma di comprensione e valorizzazione della pluralità e diversità»
Fiorenzo Gimelli, presidente di Agedo, associazione di genitori parenti e amici di persone Lgbt+ scrive al vescovo di Ventimiglia – San Remo Antonio Suetta in merito alle proposte di legge che intendono tutelare le persone Lgbt+ dai discorsi e dai reati d’odio:
«Caro Monsignor Suetta, ho letto il suo messaggio in relazione al dibattito sulla legge contro i discorsi d’ odio verso le persone Lgbt+, ampiamente diffuso a livello nazionale, che ha anticipato di poco la nota della Cei. Devo con franchezza dirle che non se ne sentivo proprio la mancanza, ma da chi in elezioni recenti è stato il primo firmatario della lista del Popolo della Famiglia, ce lo si poteva aspettare anche se lo sforzo argomentativo non è stato pari alle attese.
In generale mi sembra che entrambi i testi denotino molta difficoltà ad accettare una concezione laica dello stato e dei suoi ordinamenti e le regole di una civile convivenza da parte di una gerarchia di una chiesa concordataria. Mi pare che, nel suo caso, sul presule abbia prevalso la figura del propagandista politico come ha fatto in altre occasioni.
Lungi da me di voler insegnare ad un vescovo il suo mestiere e ad entrare in un campo, quello della fede e della chiesa, in cui non ho competenze, ma quando si vuol influire sul dibattito politico e sulla legislazione di uno stato non confessionale in tema di diritti qualche considerazione occorre farla, considerando che oggi nel citato Uganda gli omosessuali rischiano l’ergastolo o peggio.
La verità rende liberi, ma quella di fede o quella derivata dalle conoscenze tecniche e scientifiche? Ricordare Galileo non mi pare del tutto fuori luogo. L’omosessualità non è una malattia, ma una “variante non patologica del comportamento sessuale” e già dal 1993/4 l’American Psychiatric Association (APA) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) l’hanno rimossa dalla lista delle patologie mentali. In quanto alla identità di genere anche l’Istituto Superiore di Sanità ci spiega che fa riferimento a come una persona si definisce rispetto al genere a cui sente di appartenere, tutte le identità di genere sono naturali (normali).
Non è neppure una scelta, la scelta può essere solo in senso negativo con la repressione di sé quando le condizioni esterne o quelle interiorizzate non permettono di sviluppare pienamente la propria personalità. Bene che la Chiesa cattolica affermi “la dignità propria di ogni persona dev’essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni”, ma come si concilia con “…non può portare in nessun modo all’affermazione che la condizione omosessuale non sia disordinata”?
A questo punto vorrei chiedere come dovrebbero vivere le persone Lgbt+, quale è il destino riservato loro dalle religioni “del libro”? Per piacere spiegatecelo una volta per tutte. Qui non c’è bisogno di misericordia, ma di comprensione e valorizzazione della pluralità e diversità. Il piano delle obiezioni è multiplo ed uno in particolare riguarda la scarsa numerosità degli episodi.
Giova ricordare che l’attuale impianto normativo penale non prevede una specifica copertura per i crimini d’odio basati sull’orientamento sessuale o l’identità di genere della vittima e quindi la loro registrazione è problematica. Nonostante queste difficoltà l’Oscad (Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori presso il Dipartimento della Pubblica Sicurezza) nella sua relazione di inizio anno sottolinea che le segnalazioni concernenti reati di matrice discriminatoria anti Lgbt+ sono stati nel periodo 10 settembre 2010 –31 dicembre 2018 ben 212 su 1513 pari al 14,01 % del totale numero non piccolo ma probabilmente sottostimato perché le vittime tendono a non denunciarli come tali e perché le forze di polizia non riconoscono la matrice discriminatoria del reato denunciato appunto per la mancanza di una legge.
Altra cosa che lascia francamente sconcertati è il timore paventato della lesione del diritto di libertà di parola e di espressione. Per la risposta mi avvalgo delle autorevoli parole del Prof. Angelo Schillaci di recente audito alla Camera.” Il reato di di idee fondate sull’odio etnico e razziale non verrà esteso all’orientamento sessuale e all’identità di genere. Le proposte di legge contro l’omotransfobia in discussione, intervengono , sulla condotta istigatoria che è quella suscettibile di determinare il “concreto pericolo” del compimento di quegli atti. Non ogni opinione sarà oggetto della norma penale”.
Su questo si sono autore volmente espresse sia la Corte Costituzione che quella di Cassazione: “non è […] il pensiero ad essere giudicato, ma la sua offensività al, rispetto della reputazione e dell’onore, quali diritti della personalità di pari rango – per il tramite dell’articolo 2 della Costituzione – rispetto alla libertà di manifestazione del pensiero e dunque suscettibili di configurare un limite alla medesima”.
La libertà di parola e di espressione del pensiero non è illimitata e ci deve essere un bilanciamento con altri diritti di rango uguale se non superiore, quali il rispetto delle persone e della loro identità, dignità e personalità. Lo stesso discorso vale per la libertà di insegnamento, a meno che qualcuno non intenda trasformare i pulpiti e le scuole e le famiglie cattoliche in luoghi dove si diffondano discorsi e si compiano delitti di odio, il che mi sembra difficile da pensare.
L’affermazione che ci troviamo di fronte ad “una verità antropologica, biblicamente fondata” mi sembra molto forte e comunque eventualmente di interesse solo per i credenti. Mi limito solo ad osservare quante affermazioni contenute nella Bibbia come la schiavitù, l’uccisione del figlio che disobbedisce, la subordinazione della donna, oggi sono state totalmente abbandonate.
Quanto alla possibilità per enti ecclesiastici o di ispirazione cristiana di licenziare dipendenti che “tengano nella vita privata un comportamento non conforme alla dottrina” questo è un falso problema e mal posto. Qui non parliamo di comportamenti ma di identità delle persone che sul posto di lavoro vanno tutelate e ci sono le leggi per questo e non devono essere soggette a comportamenti antidiscriminatori.
Non poteva naturalmente mancare un richiamo al “pensiero unico”, al “politicamente corretto, che piace ai media e ai salotti televisivi”, e quindi al “relativismo”. È una serie di banalità ma che racchiudono una pericolosa impostazione ed un rovesciamento delle posizioni che tendono a trasformare le vittime in carnefici e viceversa. Tra l’altro appartengono più ad un linguaggio politico che tende a contrapporre pochi cattivi egemoni sui molti, le élite al popolo (buono per definizione).
Detto da un esponente della gerarchia cattolica che certamente fa parte a pieno titolo del ceto dirigente e che ha la possibilità di essere amplificato enormemente dai media è quantomeno esilarante. Quanto al relativismo etico questo è un linguaggio datato che mi pare appartenga più al papa emerito Benedetto XVI° che a Francesco mentre l’obiettivo “ideologico” è chiaro che ce l’hanno solo gli avversari.
Noi molto modestamente ci battiamo, non contro ma per una società inclusiva che capisca, apprezzi e valorizzi il pluralismo delle identità e non le mortifichi in nome di una verità di fede imposta contro ogni evidenza».