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L’incubo del Covid-19 nel diario della dottoressa Gabriella Manfredi: «Sono prudente non pensavo di potermi ammalare»

11 maggio 2020 | 17:58
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L’incubo del Covid-19 nel diario della dottoressa Gabriella Manfredi: «Sono prudente non pensavo di potermi ammalare»

«Il 7 aprile 2020 è una data che non dimenticherò mai, come le tante persone che si sono interessate a me»

Imperia. La dottoressa Gabriella Manfredi medico dell‘Asl 1 Imperiese specializzata in cure palliative ai primi di aprile ha scoperto di essere stata contagiata dal Covid. Il decorso della sua malattia si è svolto tutto tra le mura domestiche, non essendosi reso necessario il ricovero in ospedale. Nella stessa casa, in compagnia della cagnolina Sandy, la Manfredi sta ora trascorrendo la quarantena.

Di seguito il diario della sua malattia

«Il 7 aprile 2020 è una data che non dimenticherò mai. Un normale martedì all’inizio, sveglia presto, doccia colazione e quattro passi con Sandy la mia cagnolina e poi via al lavoro. Oggi il territorio sarà impegnativo, il giro è lungo e ho molti malati da visitare. In questi tempi incerti, in cui il mondo è chiuso in casa, io sono fortunata, posso uscire per andare al lavoro. Essere un medico talvolta ha i suoi vantaggi.

Non penso di potermi ammalare, sono prudente, quasi all’eccesso, prima di ogni visita telefono, controllo che nessuno abbia la tosse o la febbre, che non ci siano stati contatti con malati di Covid o sospetti tali. Appena arriva l’infermiere che insieme a me si occupa dei pazienti a domicilio un’altra giornata comincia. Sono un po’ stanca, ma ci sta, si sta lavorando tanto in questo periodo, e con tanta pressione addosso.
La mia mente in questo periodo è quasi sospesa, come se si rifiutasse di pensare al virus e alla possibilità di ammalarsi. Rientrata a casa mi sento strana, porto fuori il cane per la solita passeggiata intorno al palazzo, ma ad un certo punto non ce la faccio più. Iniziano dei dolori fortissimi alle gambe, non riesco quasi a camminare. Chiamo il mio medico di fiducia, un amico dei tempi della scuola, ma so già cosa mi dirà.
E infatti mi conferma il sospetto che io abbia contratto il Covid 19. Mi misuro la febbre, 37,9°. Poca roba ma i dolori sono sempre più forti. Non è che io abbia molti dubbi, ci sono molte varianti sintomatiche, ho paura. I giorni successivi passano come ovattati, la mia mente è avvolta nella nebbia. Non ho fame, ho solo tanto male e tanto sonno. La febbre non sale, l’ossigeno nel sangue è stabile su valori ottimali.
Ma io ho male, tanto male alle articolazioni. E la paura di non riuscire a respirare c’è, misuro la saturazione con fare ossessivo, mi sento quasi ridicola. Non ho fame, non ho mai fame. Ho solo tanta sete. Bevo litri e litri di acqua. E non mangio. Non riesco a parlare. Quando ricevo una telefonata riesco solo a staccare il telefono.

Meno male che ci sono i messaggi. Ho fatto un gruppo di whatsapp per i miei familiari, dove al mattino scrivo che mi sono svegliata, e dove mi tengo in contatto con loro. Non ho voglia di parlare con nessuno.
Ho contatti telefonici solo con il mio medico, che ancora prima dei tamponi inizia la terapia secondo gli ultimi protocolli. Al mio medico a cui devo fare un monumento. Oltre a chiamarmi ogni giorno mi ha portato i farmaci, e controlla che io li assuma regolarmente.

Siamo in contatto anche con il dottor Ferrea, già Primario delle Malattie Infettive di Sanremo, e con il dottor Pastorelli, direttore della Rianimazione di Pinerolo, amico di infanzia anche lui.

Giovedì ho fatto il tampone, ma ho pochi dubbi su quale sarà il risultato ( arriverà pochi giorni dopo, positivo). Il tempo scorre ma io non me ne accorgo. Nei momenti di lucidità guardo il cellulare, e leggo i tanti messaggi che mi stanno arrivando. Non credevo di avere così tanti amici che si preoccupassero per me, i loro messaggi mi fanno sorridere e mi sostengono. Mi chiedono notizie, vogliono sapere se ho bisogno della spesa, di portare fuori il cane, se voglio ricevere telefonate, c’è tanto interesse inaspettato intorno alla mia persona. Ma io non ho bisogno di nulla, se non di far scomparire questo stupido virus che mi è entrato dentro. Voglio tornare a sentire i gusti, voglio tornare ad avere appetito, ritrovare il piacere del cibo; voglio sentirmi in forze, alzarmi e fare quattro passi.

Dopo tre settimane finalmente sto bene, non ho più nessun sintomo a parte ancora una leggera alterazione del senso del gusto, che scomparirà nel giro di qualche giorno. Mi sento molto meglio, ho riacquistato la mia autonomia, mangio e riesco a muovermi per casa senza difficoltà. E nella mia mente, costretta tra quattro mura, iniziano le domande, le riflessioni. Penso a chi mi è stato vicino in questi giorni, a chi si è preoccupato della mia salute. Ricomincio a frequentare i social, e condivido con il “mondo” la mia esperienza. E vedo come gli amici virtuali reagiscono. Rivedo il senso di solitudine, di impotenza, quasi di nudità, provati di fronte a questa malattia. Mi accorgo che ci sono stati momenti in cui ho avuto paura, consapevole di quello che sarebbe potuto accadere. L’attesa dei tamponi per vedere se finalmente il virus se ne è andato mi fa pensare a cosa rimane di questa esperienza. Una domanda che ha molteplici risposte, ma una prevale di certo. Rimane fortissimo il senso dell’amicizia. La malattia è stata un filtro attraverso cui ho visto chi davvero si preoccupa per gli altri, e chi invece sa solo riempirsi la bocca di belle parole, sepolcri imbiancati che dentro non hanno……nulla! Io che non ho vissuto il lockdown oggi vivo la quarantena. E ancora peggio la vivo in solitudine obbligata. Ma è una solitudine solo fisica. Ho tanto tantissimo affetto intorno e dentro di me. Ci sono state tante persone che mi hanno dedicato il loro tempo, che hanno chiesto quotidianamente notizie, a cui magari non ho nemmeno risposto perché troppo stanca. Ho interrotto più di una telefonata, a molti non ho nemmeno risposto. Eppure tutti hanno capito, e mi parlano ancora! E poi più intimamente resta la conoscenza di se stessi, la consapevolezza dei propri limiti, l’accettare di non essere invincibili. Il saper dire va bene, adesso mi fermo. E a chi domanda perché ho voluto condividere la risposta non può che essere che ho solo voluto testimoniare che questo virus si può sconfiggere, con l’aiuto dei professionisti e soprattutto con il sostegno e l’aiuto di chi ci vuole bene.

Un particolare ringraziamento va al dottor Marco Murruzzu, mio medico di famiglia, che mi ha curata con serietà e con una disponibilità che è andata ben oltre i doveri istituzionali . Grazie ai miei familiari e a tutti gli amici, tra cui molti Colleghi che mi hanno dato preziosi consigli, che mi sono stati ( e mi sono ancora) vicini in questo periodo davvero difficile».