Coronavirus e lavoro non garantito, la riflessione del Partito della Rifondazione Comunista di Imperia

«Oggi la pandemia e le conseguenti limitazioni sanitarie hanno riportato il lavoro al centro della società»
Imperia. Il Partito della Rifondazione Comunista della provincia di Imperia invia una riflessione sul lavoro non garantito che oggi espone molte persone a situazioni di vera e propria indigenza.
«Ci riferiamo alle “collaborazioni continuative“, a molte partite Iva, a molti soci di cooperative, per non parlare del lavoro nero, cui in sospensione dell’attività non esistono ammortizzatori sociali che possano, anche solo in parte tamponare l’assenza di reddito. Riteniamo che l’argomento sia di interesse generale e specifico nella nostra provincia riguardando anche molti addetti nel settore turistico e dei servizi in generale» – spiega il Partito della Rifondazione Comunista.
«Il Primo Maggio 2020 è passato ma pochi ricordano che tale data fu scelta dopo che una manifestazione operaia a Chicago – il 1 maggio 1886 – per esigere la riduzione della giornata lavorativa da 16/12 a 8 ore fu repressa nel sangue di 11 operai uccisi.
Oggi la pandemia e le conseguenti limitazioni sanitarie hanno riportato il lavoro al centro della società, facendo però spesso scivolare il dibattito nella disputa – non nuova – fra salute e profitto, anziché nella necessaria complementarietà fra difesa della salute e reddito (reddito di base incondizionato, reddito di cittadinanza reddito di sussistenza, reddito minimo universale, … : esiste un’ampia letteratura su questa esigenza delle società moderne e complesse ). Si attribuiscono (doverosamente) medaglie di eroismo a tanti lavoratori che fino a due mesi fa erano considerati solo un costo aziendale, un peso insostenibile per l’ economia, un motivo di declassamento per le nobili agenzie di rating.
Ed oltre a chi è in prima linea nella lotta al virus – personale sanitario – anche molti altri lavoratori ci stanno permettendo di sopravvivere producendo cibo nelle campagne, trasportandolo nei punti vendita, facendogli fare bip alle casse della GDO o nei piccoli negozi, intrattenendo ed interagendo con i nostri figli in una didattica a distanza triste, ma necessaria ed efficace (anche se non per tutti), informandoci, garantendo i servizi essenziali dello Stato per la comunità sociale, facendo funzionare le reti dell’ acqua, dell’ energia, delle comunicazioni. Insomma sarebbero da ricordare tutti, davvero tutti. Non lo facciamo, pur consapevoli che dovremmo. E allora immaginiamo di dedicare un pensiero ad ogni singolo lavoratore, in special modo a quelli che, in tempi come i nostri in cui nonostante molti diritti siano costituzionalmente riconosciuti, sono ancora resi schiavi dal lavoro per l’avidità di un modello di sviluppo fondato sullo sfruttamento delle persone oltre che delle risorse.
Vogliamo però ricordare una speciale categoria di lavoratori cui non si dedica la giusta attenzione, se non come target di populismi spicci, quella delle partite IVA obbligate, delle diverse forme di collaborazione, e di molte soci di cooperative, cioè quei lavoratori falsamente definiti “imprenditori di sé stessi”, in modo che i loro diritti, – sicurezza, maternità, ferie, TFR, riposo settimanale, monte ore settimanale, non gravino sui conti di imprese e studi professionali, non inficino il profitto. Lavoratori cui per circa un decennio, fino al 1995, sono stati perfino invalidati anni di contributi versati.
Con la narrazione della favola americana del self made man (favola che oggi si rivela a tutti un incubo), sono stati etichettati come Liberi Professionisti, come appartenenti ad una categoria di regola ritenuta agiata e senza problemi; mentre si trattava in molti casi di un’ ennesimo inganno per sfruttare il lavoro: come aggirare conquiste faticosamente acquisite.
Questa oscena trasformazione di lavori che nella realtà si svolgono in regime di dipendenza (le scelte lavorative, i clienti, i ruoli sul lavoro, gli orari sono decisi dal titolare), è avvenuta negli ultimi vent’anni in ossequio a quelle scelte neoliberiste, quelle stesse responsabili di aver sottratto ingenti risorse alla sanità pubblica e privatizzato molti servizi, affidandoli quasi sempre a cooperative di servizi od a “partite iva” del tutto estranee al lavoro imprenditoriale. Fu realizzata con cinismo dalle destre nel lunghissimo periodo berlusconiano e successivamente consolidata e stabilizzata anche da quei governi di centro-sinistra che si sono raramente alternati con quelli dichiaratamente ostili al lavoro dipendente.
Oggi molti di questi lavoratori sono tra coloro che non dispongono del minimo per acquistare con regolare quotidianità beni indispensabili alla sopravvivenza» – dice.