Itticoltura alla Galeazza: le reazioni di La Talpa e L’Orologio, Ass. Garabombo l’invisibile e Circolo ARCI “Antica Compagnia Portuale Oneglia”

19 febbraio 2020 | 12:29
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«Opponiamoci per la bellezza del luogo, per il valore che riveste per noi, perché la nostra costa è già stata abbastanza maltratta, perché da una scelta simile non esce soddisfatto nessuno»

Imperia. «No, lì no. Ci sono sempre due cormorani, tutto l’anno, sulla Galeazza. Certo, d’estate i tuffatori li disturbano, ma non rinunciano a godersi il tramonto neppure ad agosto. E anche tutti noi facciamo la stessa cosa, almeno una volta ogni tanto, perché è più bello e più facile pensare, se lo sguardo può correre fino all’orizzonte senza barriere.

Sarà per questo che la Convenzione Europea, esprimendosi sulla definizione di paesaggio nel 2000, ha decretato di considerare tale “una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione dei fattori naturali e/o umani e dalla loro interrelazione”. Un po’ come dire che il valore di un territorio non dipende esclusivamente dai suoi aspetti naturalistici o commerciali, ma anche da come è percepito da chi lo
abita, dal modo in cui è visto e vissuto, dall’importanza che ha nella vita di chi lo popola. E allora, di carattere la Galeazza ne ha parecchio! Perché quello che per altri è solo uno scoglio,un sito con ottime correnti per l’acquacoltura o un tratto di mare comunissimo al largo di una costa rosicchiata dalle onde, su di noi svolge una funzione benefica e rigeneratrice che sarebbe se non altro stupido cercare di stimare.

Questo, visceralmente, è ciò che tanto per cominciare ci disturba nell’idea di piazzare otto vasche del diametro di 30 metri ciascuna per l’allevamento di orate e branzini proprio lì davanti. E scusate se è poco. In più, ci sono altre considerazioni sulla questione, che comunque non vorremmo rinunciare a fare.

Perché a noi la cosiddetta “vocazione turistica” di Imperia non ha mai convinto granché e, anzi, ci siamo fatti più volte promotori di un’idea di città multi vocazionale, in cui le attività commerciali possano trovare il proprio spazio accanto a quelle culturali e stagionali, così da garantire occupazione e dinamicità sul territorio. Ma qui non si stanno mettendo sul piatto posti di lavoro a manciate (si parla di otto al massimo, forse…) o nuove possibilità di crescita, ma l’incremento dell’utile di pochi a fronte del disappunto dei più.

Un attacco al territorio che in realtà segue la scia di quello portato avanti dal porto turistico e che sino ad ora ha
ottenuto esclusivamente di riempire di yacht e motoscafi le acque precedentemente destinate alla pesca e alla balneazione, oltre a qualche commissariamento e qualche sequestro qua e là. Non si può fare a meno di notare, inoltre, che tutti i dati forniti a proposito dell’impatto ambientale del progetto provengono da un’unica
fonte, la società promotrice, cosa che per ovvi motivi, ci sia permesso dirlo, solleva legittimi dubbi, se non sulla veridicità, almeno sulla parzialità dei risultati documentati.

E, al di là di questo, è a nostro parere importante fermasi un po’ a riflettere sul fatto che gli allevamenti intensivi, sia in acqua che a terra, sono, a lungo termine, ormai conclamatamente insostenibili per il pianeta e spesso si rivelano più dannosi che utili anche a breve termine.

Se lo spopolamento dei mari oggi come oggi rende difficile soddisfare il fabbisogno di pesce richiesto dal mercato mondiale, prima di vedere nelle gabbie ad alta densità la soluzione al problema, bisognerebbe forse cercare di incrementare la biodiversità preservando il territorio da ulteriori incursioni umane e vigilando sullo stato di salute della fauna e della flora, così da garantire un ripopolamento spontaneo e naturale delle acque. Certo, fare ciò imporrebbe anche un ridimensionamento di quelli che crediamo essere i nostri bisogni, un’analisi più approfondita e consapevole che permetta di vedere vincente la logica del futuro su quella del profitto. E si, lo sappiamo che tutto questo suona piuttosto utopistico, se osservato con gli occhi disillusi che ci impone il mondo in cui viviamo quotidianamente.

Però in questi giorni, nella nostra città, il modo per riaffermare il principio per cui abbiamo se non altro il dovere di provare ad invertire una tendenza autodistruttiva di cui siamo tutti complici, ce l’abbiamo: vietiamo l’allestimento di un impianto di allevamento ittico al largo della Galeazza. Opponiamoci per la bellezza del luogo, per il valore che riveste per noi, perché la nostra costa è già stata abbastanza maltratta, perché da una scelta simile non esce soddisfatto nessuno. Non i lavoratori, non i pescatori, non i commercianti, non i ristoratori o gli albergatori, non i bagnanti. E neppure i cormorani. No, lì no quindi, perché quelle gabbie, anche se lontane, a pelo d’acqua, rappresentano tutto quello che non vogliamo che questo mondo diventi». Così intervengono c.s.a. La Talpa e L’Orologio, Ass. Garabombo l’invisibile e il Circolo ARCI “Antica Compagnia Portuale Oneglia”.

«Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre.
È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore». Peppino Impastato