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Reggio Calabria, processo Breakfast. Pm: «Scajola voleva patteggiare»

24 gennaio 2020 | 12:14
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Nella sua replica il pm parla di una lettera inviata dall’ex ministro alla Rizzo per dirle addio

Reggio Calabria. Dall’aula bunker di Reggio Calabria, il pm Giuseppe Lombardo ha concluso la sua replica durata circa un’ora ribadendo la rilevanza penale della condotta dell’onorevole Claudio Scajola e di Chiara Rizzo, ex moglie di Amedeo Matacena, nella vicenda legata alla latitanza di quest’ultimo, ex parlamentare di Forza Italia, dopo una condanna a tre anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa.

«Voglio chiudere con un documento del 13 febbraio 2014: una lettera che ci è stato detto in questa sede è stata scritta da Claudio Scajola per recidere i rapporti con Chiara Rizzo – ha detto il pubblico ministero – Ora non devo assolutamente insegnare niente a nessuno. Vi dico solo che questa lettera assume un peso probatorio in questa sede ove siate in grado di dimostrare che dal 13 febbraio 2014 tra Scajola e la Rizzo l’addio è effettivo, che non ci sono più contatti, non ci sono più interlocuzioni e soprattutto non si parla più di determinate questioni: ovvero del marito latitante. Ma è proprio in quel momento che le interlocuzioni si intensificano. Questa lettera, e mi dispiace per l’onorevole Scajola, in questo processo non ha peso alcuno».

Se per gli imputati, come più volte ribadito dagli stessi, tra Scajola e la Rizzo c’era solo un rapporto amicale, la pubblica accusa è invece convinta di un disegno criminoso volto a favorire la latitanza del Matacena. «Si andava ben oltre quello che poteva essere un mero rapporto di conoscenza – ha detto – E’ in realtà la genesi di una spinta nei confronti di una famiglia che ha un legame ben diverso nel momento in cui non è possibile, proprio per questo tipo di considerazioni personali, arrestare un’azione che l’onorevole Scajola sapeva perfettamente essere penalmente rilevante».

Secondo il pm, il tentativo di chiudere con un patteggiamento le indagini prima di andare a processo, sarebbero un’altra prova inconfutabile della colpevolezza di Scajola: «Il 24 settembre 2014 era stata sua intenzione chiudere con una sentenza di patteggiamento, non accolta». Ha sottolineato Lombardo. Ma Scajola, fuori dall’aula, spiega: «Pensavamo di chiuderla lì, per evitare il processo. Ho chiesto quanto sarebbe costato, evitando di venire fino a Reggio».

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