Reggio Calabria, Processo Breakfast: Claudio Scajola condannato a due anni

24 gennaio 2020 | 17:31
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Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo aveva chiesto una condanna quattro anni e sei mesi di reclusione

Reggio Calabria. Claudio Scajola condannato a due anni con sospensione condizionale della pena.

Lo ha deciso il tribunale collegiale di Reggio Calabria presieduto dal giudice Natina Pratticò. Sono le 18 quando il collegio lascia la camera di consiglio dell’aula bunker, dove era chiuso da quasi cinque ore per la decisione, e legge il dispositivo della sentenza. Al termine della lettura, il pubblico ministero Lombardi ha lasciato l’aula.

Dopo 102 udienze, il collegio giudicante del Tribunale di Reggio Calabria, presieduto dal giudice Natina Pratticò, ha pronunciato oggi l’attesa sentenza di primo grado del cosiddetto “processo Breakfast” che ha portato alla sbarra l’ex ministro dell’Interno e attuale sindaco di Imperia Claudio Scajola, insieme con Chiara Rizzo, Martino Politi e Maria Grazia Fiordalisi, accusati di procurata inosservanza della pena per il presunto tentativo di favorire la latitanza di Amedeo Matacena: l’ex parlamentare di Forza Italia attualmente latitante dopo una condanna a tre anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa.

Per Scajola, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo aveva chiesto una condanna quattro anni e sei mesi di reclusione, richiedendo l’esclusione dell’aggravante mafiosa. La pena più alta era quella chiesta per l’ex moglie di Matacena, latitante a Dubai, Chiara Rizzo: il pubblico ministero aveva chiesto una condanna a 11 anni e 6 mesi. Il Tribunale l’ha condannata a 1anno di reclusione, con pena sospesa e restituzione dei beni che le erano stati sequestrati. Assolta, invece, dall’accusa di procurata inosservanza della pena dell’ex marito, “perché il fatto non costituisce reato”.

Scoppia a piangere alla lettura della sentenza, Maria Grazia Fiordelisi, e abbraccia il suo avvocato. E’ stata assolta per non aver commesso il fatto per l’intestazione fittizia di beni contestata dalla pubblica accusa. Per un altro capo di imputazione, invece, il collegio ha disposto il non luogo a procedere per avvenuta prescrizione. Assolto anche il quarto imputato: Martino Antonio Politi per non aver commesso il fatto (per quanto riguarda la presunta intestazione fittizia di beni) e perché il fatto non costituisce reato in merito alla vicenda del presunto contributo per favorire la latitanza di Matacena. I due erano finiti a processo perché ex collaboratori dell’armatore latitante.