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Reggio Calabria, in serata la sentenza del processo Breakfast

24 gennaio 2020 | 13:54
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Per il pubblico ministero Lombardo «Scajola è reo confesso», ma la difesa smentisce le accuse

Reggio Calabria. E’ attesa intorno alle 18 la sentenza del processo Breakfast, che ha portato alla sbarra l’ex ministro dell’Interno e attuale sindaco di Imperia Claudio Scajola, insieme con Chiara Rizzo, Martino Politi e Maria Grazia Fiordalisi, accusati di procurata inosservanza della pena per il presunto tentativo di favorire la latitanza di Amedeo Matacena: l’ex parlamentare di Forza Italia attualmente latitante dopo una condanna a tre anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa.

Nel suo intervento, dall’aula bunker di Reggio Calabria, il pubblico ministero Giuseppe Lombardo ha definito Claudio Scajola un «reo confesso in relazione al fatto materiale a lui contestato». «Nel suo esame Scajola in più occasioni non nega, ma ammette, di essersi adoperato a parole per un latitante condannato per reati di mafia», ha detto il pm. Ma la difesa del sindaco di Imperia ha smontato le accuse di Lombardo.

Mentre a detta della pubblica accusa il patteggiamento richiesto (e poi rifiutato) da Scajola il 24 settembre 2014 sarebbe una prova della sua colpevolezza («Non si va da un pm a chiedere un patteggiamento senza ammettere la propria responsabilità», ha dichiarato Lombardo), l’avvocato Elisabetta Busuito, legale difensore dell’ex ministro ha invece spiegato che il suo assistito, in quel momento, era privato della libertà personale e stava affrontando anche un altro processo, giunto al secondo grado. Questo il motivo che lo avrebbe spinto a chiedere di patteggiare, pagando il dovuto, pur di evitare un secondo processo tra l’altro lontano da casa, a Reggio Calabria.

Il pm ha poi ricordato una lettera, acquisita agli atti, scritta il 13 febbraio del 2014 da Claudio Scajola a Chiara Rizzo, ex moglie di Amadeo Matacena. Una lettera con la quale Scajola intendeva «recidere in rapporti con la Rizzo». «Ora non devo assolutamente insegnare niente a nessuno – ha detto il pm – Vi dico solo che questa lettera assume un peso probatorio in questa sede ove siate in grado di dimostrare che dal 13 febbraio 2014 tra Scajola e la Rizzo l’addio è effettivo. Non ci sono più contatti, non ci sono più interlocuzioni e soprattutto non si parla più di determinate questioni: ovvero del marito latitante. Ma è proprio in quel momento che le interlocuzioni si intensificano. Questa lettera, e mi dispiace per l’onorevole Scajola, in questo processo non ha peso alcuno». Insomma, secondo Lombardo, tra Scajola e la Rizzo non c’era un semplice legame di amicizia. Il loro agire, dunque, non era dettato da alcun rapporto umano ma era un «disegno criminale volto a favorire la latitanza di un condannato per mafia».

La difesa di Scajola ha puntualizzato, invece, che l’ex ministro ha ‘confessato’ di aver tentato di aiutare Chiara Rizzo ma mai il di lei marito. Per la questione dei conti corrente, ad esempio, di cui Scajola si era interessato: «Perché i capitali erano di Chiara Rizzo e dovevano ritornare sul conto di Chiara Rizzo: io non ho fatto nulla per Amedeo Matacena», si legge a pagina 27 del verbale relativo all’esame di Claudio Scajola. «Non c’è nessuna confessione da parte sua – ha sottolineato l’avvocato – E non ha mai cambiato la propria versione perché ha sempre detto la verità».

La discussione si è conclusa alle 13. Il collegio giudicante del Tribunale di Reggio Calabria, presieduto dal giudice Natina Praticò, leggerà il dispositivo della sentenza alle 18, dopo cinque anni di udienze.