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Ventimiglia, l’apicoltore Ballestra a processo per diffamazione. Tra i testi anche l’ex vescovo Careggio

13 novembre 2019 | 13:32
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Ventimiglia, l’apicoltore Ballestra a processo per diffamazione. Tra i testi anche l’ex vescovo Careggio

Il processo è stato aggiornato al prossimo 13 dicembre

Ventimiglia. C’è anche l’ex vescovo della diocesi di Ventimiglia- Sanremo, Alberto Maria Careggio, tra i testi al processo contro l’apicoltore e blogger Marco Ballestra, accusato di diffamazione aggravata per aver scritto che Gaetano Scullino, all’epoca dei fatti (come oggi) sindaco di Ventimiglia aveva emesso un’ordinanza di demolizione di un ricovero di imbarcazioni accessorio a una villa che all’epoca dei fatti era appartenente alla Curia, in quanto la curia non gli aveva venduto il ricovero delle barche. Nel post, in pratica, accusava Scullino di tentata estorsione per l’emissione dell’ordinanza.

E’ stato proprio Ballestra a voler citare Careggio, in modo che la sua testimonianza possa chiarire la posizione dell’imputato.

Oltre all’ex vescovo, nella lista di testi presentata stamani nell’udienza tenutasi davanti al giudice onorario di Imperia Daniela Gamba, l’avvocato della difesa, Aldo Prevosto, ha inserito anche i nomi dell’imprenditore Marcello Orengo, nuovo proprietario dello stabile e del figlio di lui, Emanuele e la vedova dell’economo che abitava nell’alloggio.

Stamani è stato ascoltato il sindaco Scullino, parte offesa a processo, che ha negato ogni addebito. Nel corso dell’udienza si è svolto anche l’esame dell’imputato.

Il processo è stato aggiornato al prossimo 13 dicembre, giorno in cui il giudice comunicherà comunicherà quali testi della difesa sono stati ammessi. In base al principio della “exceptio veritatis” (prova della verità), ovvero: il colpevole dei reati di ingiuria e diffamazione, qualora sussistano determinate situazioni, quali offese ad un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, è sempre ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa. Si tratta, tuttavia, di una prova liberatoria che è consentita solo per le offese che consistono nella attribuzione di un fatto determinato. Se la verità del fatto è provata, l’autore dell’imputazione non è punibile, a meno che i modi usati non costituiscano per se stessi ingiuria o diffamazione.