Rocchetta Nervina, viaggio in un paese sospeso. «La nostra forza è l’unione»
I cittadini si sono rimboccati le maniche, ma non basta. La richiesta è una sola: «Non lasciate morire il nostro paese»
Rocchetta Nervina. Un’anziana signora incurvata dal peso degli anni che con forza e determinazione trascina un carretto contenente i suoi beni per raggiungere il centro abitato in cui vive: è l’emblema di un paese piegato dalle intemperie ma che resiste grazie alla volontà di andare avanti, di rinascere, di non morire.
Sembra sospeso il tempo a Rocchetta Nervina, da quando, mercoledì mattina è franato un tratto di strada provinciale al confine con il Comune di Dolceacqua. L’acqua che scava nella terra, il costone roccioso che inizia a muoversi, scivolando verso il basso. Il manto stradale cede, il guard rail di protezione si spezza. Impossibile continuare a passare da quella che è l’unica strada che porta al paese. E tutto sembra fermarsi. Sembra, ma in realtà dopo un primo momento di shock, amministratori e abitanti si sono rimboccati le maniche e hanno iniziato a lavorare per il loro territorio. Da una parte l’appello alle istituzioni, di non essere lasciati soli, dall’altra il gioco di squadra: una rete operosa di uomini e donne che hanno iniziato a lavorare, con ogni mezzo e forza, per riportare un minimo di normalità nel borgo.
«Un’opera faraonica». Il sindaco Marco Rondelli presidia la frana da due giorni. Ha lasciato il luogo del disastro solo ieri, per recarsi a un vertice in Prefettura e portare la voce dei rocchettini direttamente al presidente della Regione Liguria Giovanni Toti. Quando è tornato a Rocchetta, in una fascia incolta retrostante il movimento franoso ha trovato una strada. Quando lo racconta gli occhi si riempiono di orgoglio: «Ho trovato quest’opera faraonica realizzata da un gruppo di residenti – racconta -. Hanno recuperato ferro, creato una strada per ripristinare il passaggio: questo dimostra che nei piccoli borghi, anche se sembra che siamo dimenticati dalle grandi città, l’amore per il territorio si vede in queste situazioni qui. Ringrazio i rocchettini e i volontari della protezione civile che stanno trascorrendo le nottate a presidiare la frana. Mi auguro solo di avere più appoggio da chi è sopra di noi».
L’appello a chi governa è doveroso. La forza dei cittadini non basta per risollevare il paese anche perché, come spiega il sindaco: «I tempi di realizzazione della strada si sono allungati di 3/4 mesi se non di più visto che l’intervento prospettato inizialmente di lavorare da sopra non è più fattibile, bisogna partire dal basso». Una soluzione temporanea, se fattibile, sarebbe quella di realizzare un ponte Bailey: un’infrastruttura, di origine militare, realizzata in ferro con elementi modulari. «Stiamo aspettando un tecnico dell’Anas, che abbiamo interpellato per vedere se è una soluzione fattibile per garantire una viabilità almeno ai piccoli mezzi – spiega il sindaco -. Noi qui siamo in balia degli eventi. Siamo qui a combattere, facciamo fronte unito perché ci risolvano questa situazione che è veramente pesante».
La rete di aiuti. «Non riusciamo a portare i bambini a scuola perché le nostre auto rimaste sono al di qua della frana». Dice Cecilia Biamonti, mamma di due bimbi e moglie del titolare del ristorante albergo Lago Bin. La madre, che vive a San Biagio della Cima, ha fatto la spesa e l’ha portata alla figlia «ma ci sono persone sole – afferma – non tutti hanno chi possa acquistare vivere per loro. Speriamo che “in alto” vedano e provvedano».
L’incertezza del futuro. «Aspettiamo tutto l’anno i mesi di dicembre e Pasqua per poter lavorare e tirarci su con le spese – dichiarano i titolari di Lago Bin -. Abbiamo un mese di lavoro che adesso andrà in fumo e non so come si risolverà. Ieri abbiamo perso 250 coperti perché logicamente la gente ha paura, ma se continuiamo così a lungo termine non so come andrà a finire. Questa sera abbiamo gruppi in albergo che ha insistito per poter venire. Così abbiamo lavorato per realizzare almeno un passaggio pedonale e ora stiamo istituendo un servizio navetta in modo che la gente possa lasciare l’auto prima della frana e poi essere accompagnata fino al ristorante».
«Con Rocchetta Nervina abbiamo un rapporto che va al di là del semplice confine – dichiara il sindaco di Dolceacqua Fulvio Gazzola, che da due giorni presidia il territorio insieme al collega Rondelli -. Essere qui è doveroso. La protezione civile di Dolceacqua si occupa anche di Rocchetta quindi il coinvolgimento è massimo. Il problema grosso è che più si guarda la frana, più ci si rende conto che non è così semplice come si pensava in un primo momento. Si parla di 3/4 mesi di interventi necessari quindi bisogna studiare una soluzione immediata per mille problemi: per potare il gas per il riscaldamento, portare via i rifiuti, accompagnare i bambini e i ragazzi che devono andare a scuola, le persone che devono andare a lavorare: quindi una soluzione in qualche modo va trovata in qualche modo. Ci vorrà un po’ di buona volontà da parte di tutti. L’importante è trovare soluzione sicura e immediata».
Tra chi ha contribuito a realizzare il passaggio pedonale c’è Danilo Zurletti. «La situazione è abbastanza tranquilla nel senso che la gente non si lamenta perché è consapevole del danno e cerca di arrangiarsi come può – dice -. Sicuramente siamo in attesa che chi di dovere dia delle soluzioni pratiche per ripristinare la viabilità e impedire che il paese muoia. Ci sono attività, ci sono persone che non hanno possibilità di muoversi e hanno bisogno di assistenza e quindi bisogna ristabilire un collegamento. Non credo sia una cosa così impossibile: dipende tutto dall’alto».
L’unione. E’ più difficile la vita ora? A rispondere alla domanda è Celestina Raimondo, un passato da maestra elementare in giro per l’Italia che da quando è in pensione è tornata nel paese dove è nata: «No», dice con un sorriso. «Non lo è perché siamo molto uniti, ci aiutiamo l’un l’altro. E’ sempre stato così. La nostra forza è che siamo uniti e che ci vogliamo bene». E mentre lo dice guarda al suo paese, indicando la sua casa «là vicino al campanile, c’è la chiesa, c’è la piazza dove i bambini giocano al pallone». Lì, dove Celestina è nata c’è una storia da raccontare. Lì c’è la vita.