Nell’Imperiese sempre più bambini soffrono di diabete. E non esiste una cura definitiva
Adgp: «I casi aumentano ogni anno e la ricerca procede lentamente»
Imperia. Degenerativo, grave, inguaribile. È il diabete, quella patologia di cui si sente sempre più parlare negli ultimi anni scatenata da un’elevata concentrazione di glucosio nel sangue, dovuta, a sua volta, da una carenza di insulina.
E del diabete, oggi, 14 novembre, ricorre la Giornata mondiale: una giornata di sensibilizzazione e informazione che dal 1991 celebra l’anniversario della nascita di Frederick Banting, l’inventore del farmaco salvavita per chi soffre di questa malattia, appunto, l’insulina.
Per rispondere alla crescente sfida alla salute posta dal diabete, in occasione della #GMD2019, l’Associazione diabete giovanile ponente ha organizzato una serie di eventi così da portare all’attenzione dell’opinione pubblica, in particolare di genitori, insegnanti e bambini, tutto ciò che del diabete occorre sapere.
Perché, come spiega Maria Efisia Palmas, presidente di Adgp, «quando si parla di diabete bisogna fare delle distinzioni, a cominciare dal fatto che ne esistono diverse tipologie. Le principali sono il diabete di tipo 1 e il diabete di tipo 2. Il primo è conosciuto come giovanile ed è causato da un’insufficienza o assenza di produzione di insulina. Il secondo, invece, anche chiamato alimentare o dell’adulto, è dovuto a un’incapacità delle cellule dell’organismo di utilizzare l’insulina».
I volontari di Adgp si occupano del tipo 1, la forma di diabete che colpisce principalmente i soggetti in età pediatrica e giovani adulti, con picchi di incidenza intorno ai 6 e ai 12-14 anni. «Parliamo di una malattia metabolica secondaria alla distruzione autoimmune delle cellule produttrici di insulina, le cellule beta pancreatiche – spiega Palmas che è mamma di un ragazzo diabetico –. In provincia di Imperia si registrano circa 8 nuovi casi all’anno. Essendo una patologia cronica di cui, ancora, non esiste cura definitiva, di anno in anno non c’è alcun miglioramento. Inoltre, non si può neppure parlare di prevenzione: il diabete di tipo 1 quando arriva arriva. E posto che per i genitori è sempre una diagnosi difficile da digerire per il bambino è un fardello molto pesante». Ma se la ricerca procede lentamente, «oggi una cura per il diabete è oggetto degli studi del professor Camillo Ricordi, direttore del Diabetes research institute (DRI) di Miami, e in commercio, grazie allo sviluppo tecnologico, è possibile trovare nuovi sensori glicemici che permettono di monitorare bambini e ragazzi 24 ore su 24 evitando così i 6, 8, talvolta anche 10 controlli capillari giornalieri sulle dita».
La sola cosa che un diabetico di tipo 1 può fare per restare in salute è infatti iniettarsi insulina, per tutta la vita, tutti i giorni, almeno 6 volte al giorno. Purtroppo però non c’è una posologia data una volta per tutte: la quantità di insulina da assumere è in relazione alla quantità di carboidrati che si ingeriscono e bisogna fare molta attenzione: se ci si inietta poca insulina si andrà in iperglicemia e l’iperglicemia provoca complicanze, anche gravi, a carico dell’intero organismo. Se ci si inietta troppa insulina, invece, si andrà in ipoglicemia e il basso livello di glucosio nel sangue può portare al coma.
«Il diabete in età pediatrica è una patologia cronica la cui cura giornaliera è decisamente complessa – sottolinea la presidente di Adgp –. Associazioni come la nostra che operano sul territorio si rivelano fondamentali, per sensibilizzare, informare e soprattutto, per dare sostegno psicologico a bambini e genitori. Per questo ci avvaliamo anche della collaborazione di esperti, come la psicologa-psicoterapeuta Chiara Mantini. Il diabete non va mai in vacanza, non ha attimi di tregua e personalmente, essendo madre di un ragazzo diabetico, tutte le energie, le notti in bianco che ho speso per curare e gestire il diabete di mio figlio, oggi le sto distribuendo a quei genitori che si ritrovano come ero io 12 anni fa, quando il dottore mi disse che il pancreas di mio figlio non produceva più insulina e non sarebbe mai guarito».