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Nascite ancora in calo in Liguria, a salvare la statistica gli stranieri

26 novembre 2019 | 11:37
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Nascite ancora in calo in Liguria, a salvare la statistica gli stranieri

Il calo demografico regionale continua a essere certificato dai dati Istat

Si fa sempre più rigido l’inverno demografico che gela la Liguria delle culle vuote. Ancora una volta l’Istat ha confermato l’inesorabile calo delle nascite che da più di un decennio sta interessando la regione, certificando nuovamente il “debito” nei confronti delle donne di origine straniera, la cui maggior propensione ad avere figli è diventata a tutti gli effetti la forza trainante della curva demografica

Secondo l’Istituto nazionale di statistica nel 2018 le liguri hanno avuto in media 1,09 figli per donna, l’anno precedente la media era invece di 1,14 e quello prima ancora di di 1,30. Un diminuzione sensibile che prosegue di anno in anno, stagliandosi sempre al di sotto della media nazionale (nel 2018 pari a 1,21 figli per donna).

E se rispetto al 1995, anno in cui il numero medio di figli per donna era di 0,94, i parti sono aumentati, si tratta in ogni caso di una crescita sul lungo periodo che non si deve a una maggiore propensione delle italiane in età produttiva ad avere figli, ma all’aumento del numero delle straniere sul territorio. Tanto è vero, che se per le italiane l’indicatore è calato, quello delle donne di altra nazionalità  si assesta  a una media di 1,98 figli per donna.

Quanto all’età, il dispiegarsi degli effetti sociali della crisi economica ha agito direttamente sulla cadenza delle nascite. Le donne hanno accentuato il rinvio dell’esperienza riproduttiva verso età sempre più avanzate, arrivando in Liguria a 32,9 anni, con un divario di circa 4 anni rispetto alle straniere che vivono l’esperienza della maternità in media intorno ai 28,8 anniMa non solo le mamme, anche i papà sono sempre più anziani: 35,6 è l’età media degli uomini liguri diventati genitori lo scorso ann0.

E se in Liguria un nato su cinque ha entrambi i genitori stranieri, come spiega il report Istat, «al primo posto tra i nati stranieri iscritti in anagrafe si confermano i bambini rumeni (13.530 nati nel 2018), seguiti da marocchini (9.193), albanesi (6.944) e cinesi (3.362)». «L’impatto dei comportamenti procreativi dei cittadini stranieri è più evidente se si estende l’analisi al complesso dei nati con almeno un genitore straniero, ottenuti sommando ai nati stranieri le nascite di bambini italiani nell’ambito di coppie miste. La geografia è analoga a quella delle nascite da genitori entrambi stranieri ma con intensità più elevate», soprattutto sul territorio regionale dove si registra la terza percentuale d’Italia con il 30,1% di bambini nati da almeno un genitore straniero (al primo posto Emilia-Romagna, 35,0% e al secondo Lombardia (30,9%). Considerando la cittadinanza delle madri, a livello nazionale «sul gradino più alto si confermano i nati da donne rumene (17.668 nati nel 2018), seguono quelli da donne marocchine (11.774) e albanesi (8.791)».

La fase di calo della natalità avviatasi con la crisi si ripercuote soprattutto sui primi figli, in Liguria diminuiti del 34,1% rispetto allo scorso anno. Una contrazione che è tra le più alte d’Italia e che colloca la regione al terzo posto della classifica nazionale, dopo Umbria (-35,9%) e Marche (-34,4%). Secondo l’Istat, le ragioni sono da ascrivere «alla difficoltà che hanno le coppie, soprattutto le più giovani, nel formare una nuova famiglia con figli. Tra le cause del calo dei primi figli vi è la prolungata permanenza dei giovani nella famiglia di origine, a sua volta dovuta a molteplici fattori: il protrarsi dei tempi della formazione, le difficoltà che incontrano i giovani nell’ingresso nel mondo del lavoro e la diffusa instabilità del lavoro stesso, le difficoltà di accesso al mercato delle abitazioni, una tendenza di lungo periodo ad una bassa crescita economica, oltre ad altri possibili fattori di natura culturale. L’effetto di questi fattori è stato amplificato negli ultimi anni da una forte instabilità economica e da una perdurante incertezza sulle prospettive economiche del Paese, che ha spinto sempre più giovani a ritardare le tappe della transizione verso la vita adulta rispetto alle generazioni precedenti».

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