Processo Breakfast, Claudio Scajola: «Penso che nemmeno il pm possa credere all’assurdità delle accuse»
«In tutti questi anni, lunghi e dolorosi sono state messe in piedi contro di me ipotesi che non tengono minimamente in conto quanto é emerso dal dibattimento»
Reggio Calabria. «Non vorrei apparire arrogante, ma credo che in cuor suo nemmeno il dottor Lombardo possa credere all’assurdità dell’impianto accusatorio, confuso e pasticciato». Lo ha detto, durante una pausa dell’udienza, l’ex ministro dell’Interno e attuale sindaco di Imperia Claudio Scajola, processato a Reggio Calabria con l’accusa di avere aiutato la fuga all’estero dell’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena.
«In tutti questi anni, lunghi e dolorosi – ha detto ancora l’attuale sindaco di Imperia – sono state messe in piedi contro di me ipotesi che non tengono minimamente in conto quanto é emerso dal dibattimento, che ha più volte contraddetto le convinzioni dell’accusa».
E’ iniziata questa mattina la lunga e complessa requisitoria del pubblico ministero, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, che proprio all’inizio della sua ricostruzione di quanto emerso nella fase dibattimentale del processo ‘Breakfast’ ha fatto riferimento alla figura dell’ex ministro Scajola: «Un uomo delle istituzioni – ha detto – sa bene cosa significa favorire un soggetto condannato per un reato molto grave. Perché lo ha fatto e che cosa ha fatto? Qui siamo ben oltre l’umana solidarietà nei confronti di un latitante a cui è stato dato un contributo importante. Ed il latitante ne è perfettamente consapevole e se ne vuole avvalere».
Una requisitoria ‘fiume’, quella del pm, che potrebbe durare diversi giorni. Secondo Giuseppe Lombardo, il piano di fuga di Matacena non prevedeva una sosta così lunga a Dubai: quella degli Emirati doveva essere soltanto tappa. L’obiettivo vero era, invece, il Libano. Per avvalorare la propria tesi, il pm riporta anche le intercettazioni degli imputati in cui «si parla in maniera criptica di uno Stato la cui iniziale è “L” e la cui capitale inizia per “B”». «Non può che essere Beirut, capitale del Libano”». Come risolvere, allora, il problema di Dubai? A proporre una soluzione, spiega Lombardo, è Claudio Scajola. «Chiara Rizzo non ha contatti a Dubai e quindi non saprebbe come gestire la questione», ha detto il procuratore.
«Sono rimasto estremamente colpito – aggiunge Lombardo parlando sempre di Scajola – non tanto dai contenuti, ma dall’insistenza con cui quest’uomo voleva fare qualcosa per aiutare un latitante di mafia. Ma dico è credibile che questo discorso sia stato fatto per aiutare la Rizzo? Mi chiedo: aiutare la Rizzo perché? Nel momento in cui non aveva bisogno di alcun aiuto perché era una persona libera. Certo, con il marito in una condizione complicata, ma che vivevano da 15 anni. Una vicenda metabolizzata sino in fondo, per quelle che potevano essere le conseguenze. Allora mi sono chiesto: com’è possibile che una persona come Scajola stia parlando in questo modo?».
Ricollegato al piano di fuga di Matacena in Libano, c’è il ruolo dell’imprenditore Vincenzo Speziali che ha patteggiato la pena per il medesimo reato per il quale è imputato Scajola. «Non è una confessione – precisa il pubblico ministero – ma ci andiamo molto vicino». A giudizio del pm, Speziali è pedina fondamentale in questa vicenda. Fu proprio lui, nella ricostruzione accusatoria, a muoversi con l’ex presidente del Libano Amin Gemayel per tentare di programmare l’arrivo di Matacena in Libano. «Vincenzo Speziali – sottolinea Lombardo – non è un soggetto qualsiasi e questo Claudio Scajola lo sapeva benissimo, come confermato nelle interlocuzioni con Chiara Rizzo. E sapeva che Speziali aveva stretti rapporti con una delle principali personalità politiche del Libano dalla quale era possibile avere determinate risposte».
Al termine dell’udienza di oggi – il processo è stato aggiornato al 28 ottobre per la richiesta di pena – Claudio Scajola ha ribadito la propria innocenza: «A differenza di come sostiene il pm io non ho favorito la latitanza di Matacena. Quello che io ho fatto è solo aver cercato di ottenere, se era possibile, l’asilo politico tramite le ambasciate nei confronti di Amedeo Matacena, su richiesta di sua moglie. Non ho mai avuto alcun rapporto diretto con lui. Era solo una richiesta di asilo politico e ciò, a differenza di quanto sostiene il pm, è quanto emerso per tutti gli anni di questo processo, che è finalmente giunto alla fine».