Un nuovo ospedale per i bambini della Sierra Leone grazie al medico sanremese Ravera
Progettato dallo studio Calvi Ceschia Viganò, è destinato a soggetti in età pediatrica «vulnerabili»
Sanremo. Roberto Ravera prosegue la sua missione a sostegno dell’infanzia nei Paesi in via di sviluppo. Da anni impegnato in Sierra Leone dove su impulso del padre missionario Bepi Berton ha creato una fondazione che porta il suo nome e che si occupa dei bambini che hanno subito traumi, come i bambini-soldato, lo stimato psicologo dell’Asl 1 Imperiese aprirà un nuovo ospedale.
Il centro sorgerà nella capitale Freetown e sarà destinato a soggetti in età pediatrica che hanno subito violenze, maltrattamenti e che sono affetti da disturbi mentali o patologie quali l’epilessia e l’autismo. «Indagheremo e tratteremo i problemi psicologici-emotivi nei bambini vulnerabili – spiega il presidente della Ravera Children Rehabilitation Center che nel piccolo stato africano opera grazie alla Fhm Italia onlus –. Vogliamo dare a questo Paese un modello di intervento clinico, riabilitativo ed educativo che tuteli la salute mentale dei minori. Il riconoscimento medico della sofferenza umana nel Terzo Mondo è ancora qualcosa di sconosciuto. Nessuno sa cosa sia la sofferenza psicologica di un bambino che vive per strada, che è stato abusato, violentato, picchiato, che ha subito una condanna in carcere di dodici anni perché ha rubato qualcosa di insignificante. E questa mancanza, come è facilmente comprensibile, ha serie conseguenze, soprattutto nella vita adulta».
L’ospedale della RCRC dovrebbe aprire fra due anni. La sua costruzione è stata affidata allo studio di architetti associati di Sanremo Calvi Ceschia Viganò che nel redigere il progetto, oltre agli aspetti socio-sanitari, ha valorizzato abitudini e usanze della popolazione locale. Immersi nella natura, a pochi chilometri di distanza dal mare, tutte le attività ospedaliere saranno coordinate dall’equipe del dottor Ravera e portate avanti dagli stessi sierraleonesi.
«Abbiamo dato vita a un complesso sistema di organizzazione socio-sanitaria che ambisce a lavorare come un network – evidenzia lo psicologo dell’azienda sanitaria della provincia di Imperia –. Considerando ciò che c’è da fare per questo Paese, il nostro operato è solo una goccia del mare ma è molto importante. Offriamo un aiuto diretto nonché modelli d’intervento e strumenti di logistica. La grande novità del centro non sono i nuovi mattoni bensì l’adozione di un sistema di cura innovativo volto a proteggere i bambini contribuendo, allo stesso tempo, allo sviluppo del Paese. Insieme a mia figlia Virginia – anche lei dottoressa – abbiamo già tenuto corsi di formazione a operatori locali e saranno loro a gestire l’ospedale dietro, ovviamente, uno stipendio regolare».
Se in questi tempi di lotta all’immigrazione lo slogan “Aiutiamoli a casa loro” corre sulla bocca di tutti, il lavoro condotto dal medico sanremese per risollevare un paese distrutto dalla guerra civile ne è un’esemplare applicazione. «Tra dottori, infermieri, assistenti sociali, insegnanti ed educatori, l’organizzazione ha quasi trenta dipendenti, tutti appartenenti a questa terra. Ciascuno di loro è impiegato in una delle nostre strutture: nella comunità terapeutica in cui, mediamente, ospitiamo ottocento bambini all’anno, negli ambulatori dove offriamo prestazioni mediche e distribuiamo farmaci, nei carceri minorili dove da qualche anno lavoriamo alla riabilitazione e al reinserimento sociale dei giovani detenuti, o nella scuola secondaria di agraria tramite la quale stiamo dando ai ragazzi la possibilità di studiare e, una volta apprese le nozioni necessarie, tornare nel loro villaggio e poter lavorare».
«Gran parte di questa gente lascia il proprio Paese per mancanza di lavoro – sottolinea Ravera –, ma un numero altrettanto grande se ne va perché se un bambino si ammala non sa come curarlo. “Aiutiamoli a casa loro?”, bene, ma le istituzioni dovrebbero permettere a volontari come me di farlo, ponendo le condizioni affinché ci siano scuole che funzionino, ospedali dignitosi, lavoro. Io sono stato fortunato, ho sempre potuto contare sull’aiuto finanziario della Liguri generosa. Molti credono che trascorra tutto l’anno in Africa, in realtà devo sfruttare quelle che sono le mie ferie e qualche recupero. Dopo tanti anni che prendo l’aereo e trascorro il mio tempo libero fra questi bambini mi sono reso conto di quante mancanze ci siano a livello istituzionale, a cominciare da progetti di cooperazione internazionale che permettano a professionisti come me di recarsi in questi luoghi in via ufficiale e salvare milioni di vite a nome dell’Italia».