Dalla sostituzione degli alberi al problema delle pigne. Il punto sul verde pubblico con l’agronomo Roberto Garzoglio
Sapevate che a Sanremo ci sono 15mila alberi e che l’Araucaria bidwillii produce pigne da 5 kg?
Sanremo. Producono ossigeno e assorbono anidride carbonica, riducono la riflessione del calore abbassando le temperature e favorendo dunque il risparmio energetico, depurano l’aria, riducono il rumore e abbelliscono il paesaggio. Sono solo alcuni dei benefici degli alberi: il cui stato di salute è fondamentale quando essi sono inseriti nel contesto urbano. Degli alberi, in città, ci ricordiamo troppo spesso solo quando qualcuno si schianta al suolo e sui giornali, se non ci sono feriti, si legge di tragedie sfiorate. E poi le polemiche, soprattutto sui social, che scoppiano ogniqualvolta un comune decide di tagliare alcuni esemplari, divenuti pericolosi per l’uomo.
Per fare il punto sul verde pubblico in provincia di Imperia, abbiamo chiesto a un esperto: il dottore agronomo Roberto Garzoglio che si occupa, tra le altre cose, del patrimonio vegetale del Comune di Sanremo, dove di alberi ce ne sono 15mila.
Il ruolo. «I nostri alberi, essendo esseri viventi, sono in continua evoluzione e pertanto, proprio perché questa evoluzione è iniziata da circa 100/120 anni quando i primi viaggiatori hanno portato piante esotiche che poi si sono acclimatate nel nostro territorio, noi ci siamo trovati adesso ad avere un patrimonio arboreo di pregio notevolissimo, che però, come tutti gli esseri viventi, ora sta invecchiando», spiega Garzoglio, che sottolinea quanto sia necessario «fare una chiara e netta distinzione tra le varie specie che abbiamo a dimora, soprattutto per cercare di evitare le tragedie, che purtroppo in Italia sono frequenti. Basti pensare che lo scorso anno circa 30 persone sono morte per la caduta di rami o lo schianto di alberi, senza contare le disgrazie indotte, come quelle dovute a dissesti stradali». E’ per questo che l’ultima parola deve spettare a un esperto: « Il nostro ruolo di dottori agronomi, oltre a curare e progettare il verde, è anche quello di cercare di prevenire le tragedie che possono verificarsi».
Il miracolo. Sanremo, 8 luglio 2018. Alle 11,30 un enorme ramo di un Ficus macrophylla, dal peso di oltre 120 quintali, si schianta al suolo in via Roma, distruggendo tutto quello che trova. Non ci sono vittime, né feriti. «E’ stato un miracolo, considerata l’ora e il luogo dello schianto, frequentatissimo – ricorda l’agronomo -. Il Ficus macrophylla , esemplare monumentale eccezionale che si è adattato in maniera spaventosamente bella nella nostra zona, è un albero che ha le sue esigenze: esigenze di spazio, innanzitutto, perché ha una chioma enorme. Proprio per questo, la sua natura gli ha imposto di produrre delle radici aeree che devono per forza andare a toccare il terreno, radicare nel terreno e diventare dei pilastri di sostegno per l’albero stesso. Un sostegno meccanico e fisico per una chioma pesantissima». Di alberi così a Sanremo ce ne sono una trentina. Ma quando sono stati piantati, un secolo fa, tutto era molto diverso. «Negli ultimi 100 anni, l’ambiente urbano in cui queste piante si sono sviluppate è cambiato in modo inverosimile – spiega Roberto Garzoglio – Col passare dei decenni, dal dopoguerra in poi, le strade si sono allargate, sono stati effettuati dei restringimenti sempre maggiori dello sviluppo radicale e questo ha portato l’impossibilità di questi alberi, nello specifico quello di via Roma, di produrre le radici aeree che sono fondamentali per il loro sostegno».
La svolta. Proprio quel giorno si è presa coscienza del potenziale pericolo di quella specie. «Devo fare un plauso all’amministrazione comunale di Sanremo e in particolare all’ingegnere Danilo Burastero, dirigente del settore lavori pubblici, ed all’architetto Laura Di Aichelburg, responsabile del settore verde pubblico, per la prontezza, la determinazione, la dinamicità e la capacità operativa notevoli che hanno dimostrato – dichiara l’agronomo – Nel giro di pochi giorni, infatti, è stata prodotta un’ordinanza, destinata sia ai privati che al pubblico, affinché tutti gli alberi che superano i 3 metri di altezza e si trovano a contatto di strade, vie, luoghi pubblici, giochi per i bambini, condomini con spazi verdi, venissero controllati con metodologia VTA da agronomi abilitati per prevenire rotture, crolli e schianti». Il comune ha dato ordine immediato di controllare approfonditamente tutti e trenta i Ficus macrophylla presenti in città. «Abbiamo operato in modo certosino – spiega sempre Garzoglio – Trovando nelle chiome maestose di questi alberi, rami lunghi anche 10 metri quasi completamente staccati, che potevano diventare pericolosissimi. E’ successo, ad esempio, nel parco giochi della Foce e all’ex tribunale». Proprio in quest’ultimo caso, durante un sopralluogo in quota, l’agronomo ha scoperto la presenza di un ramo «di 12 metri, dal peso di non meno di 2 quintali, completamente staccato dall’albero e sospeso sopra la pista ciclabile». Pronto a cadere, da un momento all’altro. «Un fenomeno che in natura è normalissimo – aggiunge Garzoglio – Alberi del genere in natura abbandonano parti della loro chioma che hanno subito ferite per, ad esempio, causate dal vento, e li lasciano cadere. La differenza è che se accade in una foresta, non se ne accorge nessuno. Ma in città…».
I Ficus di Bordighera. Anche nella ‘Città delle Palme’ sono presenti bellissimi esemplari di Ficus macrophylla. «Ne abbiamo due stupendi nei pressi del museo Bicknell, maestosi e cresciuti in una zona a riparo dai venti – ricorda l’agronomo – Ma quelli più appariscenti sono sulla spianata del Capo». Anche in questo caso sono due: uno è nei pressi di Palazzo Garnier, sede del comune, «che versa in uno stato fisiologico ottimale, probabilmente a causa dei danni subiti nel tempo agli apparati radicali – spiega – So però che un collega ha esaminato il caso e si sta tentando di salvarlo». Poi c’è un secondo ficus, nel piazzale adibito a parcheggio: «E’ un esemplare da cartolina, un esemplare magnifico che ha una struttura perfetta per questo albero, con un solo problema: sotto c’è l’asfalto – dice Garzoglio – Il pericolo è che possa succedere come a Sanremo. Da sempre, infatti, è presente l’asfalto nella zona di esplorazione degli appartati radicali e per questo l’albero non ha emesso le radici aeree, pertanto è privato di sostegni che possano garantire la sicurezza di parti di chioma che attualmente sono esposte e sbilanciate. Il mio consiglio da agronomo è quello di privarsi di qualche posto auto per poter liberare dall’asfalto la zona superficiale esplorata dal ficus. E’ una scelta tecnica utile in ambito sicurezza per ridurre i rischi e per favorire il miglioramento dello stato fisiologico dell’esemplare. Una strategia che si dovrebbe sempre attuare per alberi monumentali di particolare bellezza».
Vita in città. «L’ambiente urbano limita l’età degli alberi – spiega l’agronomo -. In ambiente urbano l’albero si deve adeguare, invece dovrebbe essere il contrario: dovrebbe essere l’uomo ad adeguarsi alle esigenze dell’albero. Gli alberi si sostituiscono, non si abbattono. Sono esseri viventi come noi e hanno un ciclo biologico regolamentato dal sito di dimora e dai maltrattamenti che nella loro vita subiscono».
Il caso di Forte di Santa Tecla, a Sanremo. Ha tenuto banco per giorni la questione relativa al taglio dei pini che adornavano il manto erboso davanti al forte. Ma il loro abbattimento era necessario. Lo spiega così Roberto Garzoglio: «Negli anni passati, durante i lavori di ristrutturazione del forte, ai tre pini più vicini era stata tagliata metà della chioma. Quando un Pinus pinea viene ad avere una età matura (30-40 anni) la sua struttura e il suo portamento non si modificano più. Se noi andiamo a intervenire con operazioni di taglio, il pino non rivegeta, come invece possono fare altre specie: il platano, ad esempio. Se noi tagliamo un pezzo di chioma o la apriamo, la chioma rimane aperta e dunque le correnti, i venti, entrano dentro, e parti di chioma e rami più o meno grandi, che non sono preparati a sopportare la forza del vento, si torcono e si spezzano. A San Bartolomeo, nel 2015, una persona è morta per questo motivo».
Altri problemi. «Recentemente tutte le città si stanno dotando di sistemi di videosorveglianza. Vengo sollecitato abbastanza frequentemente da organi che hanno il controllo delle telecamere in quanto qualche ramo di qualche albero ostacola le riprese. Questa è un’esigenza che il cittadino non sa e si domanda come mai vengono tagliati dei rami. Ma una spiegazione c’è sempre. Come per l’imprevisto della scuola Pascoli: noi siamo dovuti intervenire in modo celere e professionale per espiantare e trapiantare piante di pregio nello stesso sito affinché non venisse intaccato il patrimonio arboreo della zona e ci siamo riusciti in due giorni, facendo dei controlli anche sugli alberi che sono nelle immediate vicinanze per ridurre ogni tipo di rischio, tenendo conto che fra un mese quella zona sarà frequentata da 400 bambini oltre ai genitori».
Piante autoctone ed esotiche acclimatate. Nelle nostre città siamo abituati a vedere palme e ficus: caratterizzano il nostro ambiente, ormai, ma sono piante arrivate da lontano, che nulla hanno a che fare con la vegetazione autoctona, fatta di ulivi, lecci, pini d’Aleppo. Alberi, dunque, dalle dimensioni molto più contenute. «Proprio per le caratteristiche dei nostri luoghi, nei secoli, non si sviluppavano tantissimo in altezza – spiega Garzoglio – ma hanno dimensioni contenute proprio per la caratteristica di adattamento delle piante ai luoghi specifici. Possono arrivare a 12-15 metri, ed espandono dove possono la loro chioma».
Non piantare a caso. «Bisogna ricordare alle amministrazioni che è necessario piantare l’albero giusto al posto giusto, non bisogna solo piantare per avere effetti immediati e consensi popolari. Occorre conoscere la specie che si va a trapiantare a dimora definitiva, sapere che esigenze ha sia nella zona ipogea (radici) che nella zona epigea (chioma). Noi dobbiamo mettere l’albero in condizioni di poter vivere la sua vita nel rispetto del suo portamento e delle sue esigenze».
Palma da datteri. Ce ne sono molte, soprattutto a Bordighera. «E’ una pianta tipica della zona arida, desertica, che arrivata qua si è adatta in modo spettacolare – spiega Garzoglio – Però sono piante che ormai sono anziane, hanno circa 120 anni e siamo al limite, in più sono inserite in giardini con tappeto erboso. Questo cosa vuol dire? Nell’arco dei decenni una zona che per sua natura deve rimanere asciutta è costantemente bagnata perché c’è il manto erboso e questo aumenta i rischi a causa di attacchi patologici, dovuto alla debolezza data da condizioni non ideali di vita per la specie che può diventare pericolosa senza manifestare sintomi appariscenti». Si è visto sia a Sanremo, con i recenti schianti lungo la ciclabile, che a Bordighera, soprattutto tra il 2017 e il 2018.
VTA (Visual Tree Assessment). «E’ l’analisi attualmente e legalmente riconosciuta per dare una propensione al cedimento di un albero o di parti di esso. Ci sono cinque classi che vengono determinate dall’agronomo che esegue l’analisi specifica: si studiano i sintomi che la pianta presenta e, a seconda dell’albero, possono essere fatte indagini strumentali che devono essere valutate dall’agronomo in base all’albero e alla specie che sta esaminando».
Araucaria di Bordighera sulla rotonda di Sant’Ampelio. «L’anno scorso fui chiamato da sindaco e ufficio tecnico perché l’albero manifestava evidente sofferenza. Quando l’iter burocratico mi ha permesso di accedere all’area sono rimasto scioccato perché ho accertato che questo povero albero aveva subito dei tagli agli apparati radicali superficiali di ancoraggio, dei tagli di 30 cm su almeno 7/8 radici, per il posizionamento di un semplice passaggio pedonale, quando poteva essere trovata benissimo un’altra soluzione. A seguito di queste ferite, l’araucaria ha iniziato a emettere resina in modo spropositato. Ricordo, tra l’altro, che le radici tagliate non si riformano più. L’unica fortuna è che l’araucaria ha sì un apparato superficiale ma anche radici abbastanza profonde con fittoni che consentono di garantire una certa stabilità – racconta Roberto Garzoglio -. Le indagini che ho fatto anche in quota, a oltre 20 metri, con l’autoscala, mi hanno dato modo di constatare che in alto c’era un discreto circolo di linfa e questo mi ha dato un po’ di speranza di riuscire a salvare l’albero. Mentre i palchi più bassi erano imbruniti con vasi linfatici completamente otturati e questo mi dava molta preoccupazione. Cosa è stato fatto? In perfetto accordo con amministrazione comunale e con l’ufficio tecnico, abbiamo fatto costruire un muro in pietra per ripristinare il livello del colletto originario affinché la pianta potesse emettere piccole radici per acconsentire al bisogno fisiologico dell’albero. Questo sembra che si stia verificando: l’albero in un anno ha cambiato aspetto. Ho prescritto una cura a base di amminoacidi naturali per cercare di far superare lo stress fisiologico all’albero. Sembra che stia rispondendo bene tant’è che sta producendo pigne».
Un altro ‘problema’: le pigne. Nelle nostre città ci sono due tipi di Aracuaria, e dunque, due tipi di pigne. «Mentre l’Araucaria heterofillia o excelsa produce pigne che pesano un chilo, l’Araucaria bidwillii produce pigne uncinate che pesano 4 o 5 kg l’una. Di questi esemplare ne abbiamo uno a Bordighera, ai giardini Lowe, proprio sopra i giochi per i bambini e sei nel parco di Palazzo Bellevue a Sanremo». Per produrre queste pigne, gli alberi impiegano circa due anni. E’ importante dunque monitorarli costantemente e rimuovere le pigne che si stanno formando. Essere colpiti in testa da una pigna che pesa 4 kg e che cade da 20 metri d’altezza può essere letale.