Imperia, con i soldi della droga gestivano due bar e un’officina. Arrestati dai carabinieri
In carcere Sergio Taverna e Giacomo Masottina
Imperia. Si è conclusa con l’arresto di Sergio Taverna, 53 anni, e Giacomo Masottina, 44 anni, e il sequestro giudiziario con affidamento a un curatore di due bar (il “Caffè Garibaldi”, di piazza Dante a Imperia e il “Caffè 84” in via Romana a Ceriale), dell’officina “Punto Gomme”, sul lungomare Vespucci di Imperia, e di un conto corrente presso il credito agricolo Carispezia, l’operazione ‘Andalusia 2’, volta a scoprire come venivano reinvestiti i proventi illeciti di ingenti traffici di droga. Stamani i carabinieri hanno eseguito anche due misure con obbligo di firma nei confronti dei prestanomi dei due arrestati: Manuel Taverna, ventenne figlio di Sergio, e Omar Peruzzi, 58 anni.
Le indagini, condotte dai carabinieri del nucleo investigativo di Imperia coordinati dal procuratore capo Alberto Lari e dal sostituto procuratore Luca Scorza Azzarà, sono iniziate nell’ottobre del 2018, proprio nei giorni in cui si concludeva, con quattro misure cautelari in carcere, l’operazione ‘Andalusia’: il 23 ottobre del 2018, infatti, i militari avevano arrestato corrieri della droga trovati con 58 kg di marijuana. Nei guai erano finiti proprio Giacomo Masottina e Sergio Taverna, che in un magazzino di lungomare Vespucci, aveva nascosto 4 kg di hashish. I due finirono in carcere.
All’origine del sequestro giudiziario l’articolo 512 bis del codice penale, ovvero il trasferimento fraudolento di valori. Secondo gli inquirenti, infatti, le tre attività venivano gestite col denaro proveniente dal traffico di stupefacenti e intestate a dei prestanome: Manuel Tavernaper quanto concerne i due bar, e Omar Peruzziper l’officina meccanica. I due sono liberi, con obbligo di firma. Ascoltati dagli inquirenti al termine delle indagini, non hanno potuto far altro che confessare di essere i prestanome degli arrestati.
Durante le indagini, svolte attraverso pedinamenti e intercettazioni ambientali, è emerso che Manuel Taverna aveva assunto per alcuni giorni il padre, che risultava comunque titolare dell’attività, per giustificare il suo contatto con i clienti del bar ‘Caffè Garibaldi’ e il fatto che lasciasse il locale con i soldi. Probabilmente perché venissero re-investiti in un continuo scambio tra attività illecite (spaccio di droga) e lecite.