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Imperia, caso Zappulla. Ecco perché il Riesame ha sospeso la preside: «Concezione feudale della scuola»

15 maggio 2019 | 15:09
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Imperia, caso Zappulla. Ecco perché il Riesame ha sospeso la preside: «Concezione feudale della scuola»
Imperia, caso Zappulla. Ecco perché il Riesame ha sospeso la preside: «Concezione feudale della scuola»
Imperia, caso Zappulla. Ecco perché il Riesame ha sospeso la preside: «Concezione feudale della scuola»

Definita «analitica» la richiesta di convalida dell’arresto da parte del pm di Imperia

Imperia. Anna Rita Zappulla avrebbe agito secondo una concezione ‘feudale’ della scuola, con collaboratori e dipendenti costretti ad atteggiarsi come ‘fedeli vassalli’. Sono le motivazioni per cui il giudice del Riesame di Genova ha stabilito, come richiesto in subordine (se non fossero stati accordati gli arresti domiciliari) dalla Procura di Imperia, di sospendere per 12 mesi dal servizio di dirigente scolastico la preside dell’Istituto Ipsia Marconi di Imperia e del Colombo di Sanremo, che il 13 aprile scorso era stata arrestata dai carabinieri con l’accusa di peculato per avere utilizzato l’auto di servizio della scuola, una Toyota Corolla, per interessi personali.

La concezione ‘feudale’, deriva dalla revoca (da parte della preside), avvenuta il giorno successivo a quello della scarcerazione, dell’incarico di primo collaboratore nei confronti del professore LucaRonco: ovvero del docente che aveva promosso la denuncia nei confronti della Zappulla. Scrive infatti il giudice che l’azione «rivela una concezione in qualche modo feudale del pubblico ufficio da parte dell’indagata evidentemente convinta che i beni in dotazione a quest’ultimo siano da lei apprensibili ad libitum e che i suoi collaboratori e dipendenti debbano atteggiarsi nei suoi confronti quali fedeli vassalli, degni di immediata punizione non appena mostrino di non condividerne le aspettative».

Ma non è tutto. Il giudice parla anche di «condotta ritorsiva», con il rischio di una «recidiva specifica» e anche se l’auto era a disposizione della scuola, per il Riesame la preside «si è comportata in toto come la reale proprietaria, se è vero che chi avesse voluto utilizzarla avrebbe dovuto preventivamente fare i conti con le di lei esigenze personali» come dimostrato dalle indagini compiute dai carabinieri e coordinate dalla Procura di Imperia nel corso delle quali sono stati raccolti «gravi indizi» di prova, tanto che la stessa Zappulla, nell’udienza di convalida del suo arresto, aveva ammesso di «avere temporaneamente utilizzato l’autovettura in dotazione all’Istituto Marconi di Imperia».

Peculato. Secondo il Riesame, inoltre, non vi sarebbero dubbi sulla formulazione dell’accusa nei confronti della preside. Come evidenziato dal pm, si tratta di peculato (e non peculato d’uso, come derubricato dal gip). «L’utilizzo dell’auto per fini privati è stato monitorato e constatato in diversi casi, oltre che in quello per cui l’indagata è stata arrestata di rientro da Mentone dai militari impegnati il servizio di o.c.p. L’utilizzo privato è riscontrato anche dall’osservazione della presenza del mezzo in luoghi estranei a fini istituzionali e al suo parcheggio in orari notturni nel condominio dell’abitazione dell’indagata». E tanto basta, secondo i giudici genovesi, a far sì che il reato commesso possa configurarsi «alla previsione normativa del peculato». Aveva dunque ragione il pubblico ministero a ravvisare nel comportamento illecito della dirigente scolastica un reato ben più grave del peculato d’uso, come invece stabilito successivamente dal gip. Quest’ultimo, infatti, avrebbe tratto «conclusioni diametralmente opposte a quelle univocamente dovute», scrive il giudice del Riesame, che argomenta con una sentenza della Cassazione il reato di peculato. Il gip ha commesso l’errore di derubricare il reato: sarebbe stato peculato d’uso, se la Zappulla avesse restituito l’auto ogni giorno, invece di parcheggiarla sotto casa e comportarsi come fosse la padrona assoluta del bene di proprietà della scuola.

Concreto pericolo di inquinamento probatorio. Secondo il giudice de tribunale genovese, che esamina la richiesta delle esigenze cautelari formulate dal pm nei confronti della Zappulla, «va detto che la sussistenza del concreto pericolo di inquinamento probatorio delineato dal pm nell’atto d’impugnazione risulta corroborata dalla memoria difensiva; in particolare, non appena rientrata in servizio la Zappulla s’è prodigata nel formulare – sempre dall’alto del suo ruolo apicale in seno all’istituto: del che non può non tenersi conto ai fini delle valutazioni in esame, tenuto conto del naturale metus per ciò solo esercitato sui sottoposti – una serie di ‘richieste di chiarimenti’ animate esclusivamente dalla finalità di predisporre argomenti a propria difesa». Insomma, azioni che il Riesame definisce una sorta di «minuziosa istruttoria sull’accaduto», fatta ovviamente «pro domo sua» e non di certo per argomentare la tesi accusatoria formulata dal pm.