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Sindrome dell’abbandono: quando il timore diventa invalidante

29 marzo 2018 | 07:01
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Sindrome dell’abbandono: quando il timore diventa invalidante

Le fragilità nell’infanzia e le ripercussioni nell’età adulta

La paura dell’abbandono è uno dei timori che spesso affligge gran parte delle persone, il timore di rimanere soli, senza nessuno che possa prendersi cura dell’altro. Quando questa paura non viene gestita si trasforma in una vera e propria Sindrome attraverso la manifestazione di un forte disagio che può portare dall’angoscia alla depressione.

Il timore di restare soli può cogliere un bambino allontanato dalla madre, un single che vorrebbe una famiglia o un anziano in una casa da riposo. Si tratta proprio della paura di non avere più nessuno da accudire o da cui essere accudito ed essere dimenticato da tutti. L’abbandono è un lutto, una perdita, una perdita dell’equilibrio e della stabilità, una minaccia alla nostra sopravvivenza fisica e psicologica.

La reazione dell’abbandono comprende una serie di manifestazioni sia fisiche che psicologiche. Nelle manifestazioni organiche possiamo trovare tutti i disturbi della sfera vegetativa come stanchezza cronica, disturbi del sonno e dell’alimentazione, interruzione del ciclo mestruale, aumento della pressione, cefalee, disturbi della sfera sessuale, abbassamento delle difese immunitarie mentre nelle manifestazioni psicologiche possiamo trovare tristezza, senso di vuoto e di angoscia, paura, labilità emotiva, pianto, difficoltà a concentrarsi, anedonia, irritabilità, episodi di rabbia. Si manifesta con emozioni e comportamenti, che possono andare dal semplice disagio alla disperazione più nera, al sentirsi privi di una parte di sé, al perdere il piacere del vivere, in poche parole alla depressione.

É importante notare come le reazioni all’abbandono dipendano anche dallo stile di attaccamento nella loro manifestazione e soprattutto nella loro evoluzione. L’attaccamento può essere definito come un sistema dinamico di comportamenti che contribuiscono alla formazione di un legame specifico fra due persone, un vincolo le cui radici possono essere rintracciate nelle relazioni primarie che si instaurano tra bambino e adulto. In base alle risposte fornite dalla figura di riferimento, il bambino strutturerà una specifica tipologia di legame o “stile di attaccamento” che potrà essere funzionale o meno. In futuro, crescendo questo stile di attaccamento si concretizzerà in modelli operativi relazionali, che tenderanno a riprodurre lo stesso modello di attaccamento nelle relazioni future.

Bowlby distinse quattro stili di attaccamento, caratterizzati ognuno da specifiche caratteristiche della figura di riferimento e della relazione con questa, e da un altrettanto peculiare stile di considerazione di sé e di relazione con l’altro.

Attaccamento sicuro che è permesso dalla presenza di figure di attaccamento stabilmente disponibili e pronte a rispondere positivamente alle richieste di accudimento, vicinanza e conforto. Il modello del Sè che si costruisce è amabile, meritevole di amore ed attenzioni, capace di suscitare nell’altro risposte positive d’affetto e accudimento. L’altro viene vissuto come disponibile e degno di fiducia. Con il passare degli anni, il bambino sviluppa una relazione basata su un senso di stabilità, accudimento ed accettazione. Si sente sereno, accettato e protetto ma anche libero di esplorare, maturando fiducia in sé, nell’altro e nelle proprie risorse.

Mentre l’attaccamento evitante è indotto da figure di attaccamento indisponibili, non affettuose e tendenzialmente propense ad ignorare ed allontanare rifiutandole, le richieste di contatto e vicinanza del bambino, che viene tenuto a distanza. Il bambino sviluppa un modello operativo interno basato sulla convinzione di un Sé “poco amabile”non meritevole di amore ed attenzioni, incapace di suscitare nell’altro risposte positive di affetto e accudimento. L’altro viene vissuto come indisponibile. Negli anni, il soggetto alterna momenti di indipendenza a momenti di ricerca di accudimento. Crescendo, tende a scindere gli affetti negativi verso la madre non elaborati proiettandoli sulla società, con comportamenti ribelli o contestativi. Tende a non attaccarsi agli altri.

Nell’attaccamento ansioso-ambivalente le figure di attaccamento degli individui che sviluppano questo modello, mostrano comportamenti imprevedibili ed incostanti: a volte sono accoglienti a volte rifiutanti nei confronti delle richieste di accudimento e vicinanza. Possono mostrarsi intrusive ed ipercontrollanti. Nel bambino si formano due modelli operativi interni, il Sé amabile e figura di attaccamento degna di fiducia e un Sè non amabile e figura di attaccamento indisponibile. Il soggetto tende ad avere costantemente bisogno di accudimento, mostrandosi costantemente preoccupato ed angosciato dai comportamenti imprevedibili dell’altro aggrappandosi e temendo l’abbandono.

Nell’attaccamento disorganizzato questi individui hanno avuto figure di attaccamento sofferenti a causa di violenza subite, o depressione o altri eventi traumatici gravi. Sono immerse in una dimensione di dolore ed angoscia ed incutono timore. Il modello operativo interno che si sviluppa può assumere diverse forme: il Sé amabile ed altro disponibile, il Sé vittima impotente e l’altro minaccioso, il Sé pericoloso per tutte le persone amate e Sé e figura di attaccamento deboli di fronte al mondo esterno. Lo sviluppo nel soggetto di questa modalità di attaccamento, origina da figure di attaccamento con gravi problemi di abusi, violenza o malattie psichiatriche. Tale stile di attaccamento genera solitamente personalità borderline o psicotiche.

Per superare la Sindrome dell’abbandono è utile intraprendere una psicoterapia per fare un “salto nel passato”, prendere consapevolezza del proprio vissuto emotivo, far emergere pensieri, emozioni cosi da imparare a conoscerli e a gestirli. Se si creano le basi per una maggiore autostima, per l’acquisizione di una consapevolezza che noi dobbiamo essere i primi a prenderci cura di noi stessi, per una maggior cognizione di sé e delle azioni si può superare il timore della perdita.

Dott.ssa Daniela Lazzarotti

www.danielalazzarotti.com

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