Il report |
Cronaca
/
Zone
/

Denaro sporco, terrorismo e armi di distruzione di massa: Imperia tra le province più a rischio secondo la Cgia

21 gennaio 2018 | 16:06
Share0
Denaro sporco, terrorismo e armi di distruzione di massa: Imperia tra le province più a rischio secondo la Cgia

Una tendenza che si riscontra in tutte le province di confine

Imperia. L’Imperiese tra le province d’Italia a più alto rischio di attività illegali, quali riciclaggio di denaro, finanziamento del terrorismo e dei programmi di proliferazione di armi di distruzione di massa.

E’ quanto emerge dall’indagine condotta da Cgia di Mestre, secondo cui tale tendenza è la medesima in tutte le province di confine. Quindi Como, Varese e Verbano-Cusio-Ossola, dove, come a Imperia, nel 2016, ogni 100.000 abitanti, sono giunte alle autorità competenti oltre 200 segnalazioni in merito.

Report Ufficio studi CGIA,

Un’economia quella ascrivibile alle attività illegali che non conosce crisi: l’ultimo dato disponibile (2015) segnala che, a livello nazionale, negli ultimi 4 anni il valore aggiunto delle attività fuorilegge è aumentato di oltre 4 punti percentuali, per una spesa complessiva di 19 miliardi di euro all’anno. In particolare: 14,3 miliardi per l’uso di sostanze stupefacenti; 4 miliardi per i servizi di prostituzione; e 600 milioni per il contrabbando di sigarette.

“Lungi dall’esprimere alcun giudizio etico – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo – è comunque deplorevole che gli italiani spendano per beni e servizi illegali più di un punto di Pil all’anno. L’ingente giro d’affari che questa economia produce costringe tutta la comunità a farsi carico di un costo sociale altrettanto elevato. Senza contare che il degrado urbano, l’insicurezza, il disagio sociale e i problemi di ordine pubblico provocati da queste attività hanno effetti molto negativi sulla qualità della vita dei cittadini e degli operatori economici che vivono e operano nelle zone interessate dalla presenza di queste manifestazioni criminali”.

Va altresì ricordato che dal settembre del 2014 il valore aggiunto “prodotto” dalle attività illecite è stato addirittura inserito nel calcolo del Pil in molti paesi europei, tra cui l’Italia. “Tra le attività illegali – asserisce il segretario di Cgia Renato Mason – l’Istat include solo le transazioni illecite in cui c’è un accordo volontario tra le parti, come il traffico di droga, la prostituzione e il contrabbando di sigarette e non, ad esempio, i proventi da furti, rapine, estorsioni, usura, etc. Una metodologia, quest’ultima, molto discutibile che è stata suggerita dall’agenzia statistica della Comunità europea che, infatti, ha scatenato durissime contestazioni da parte di molti economisti che, giustamente, ritengono sia stato inopportuno aumentare il reddito nazionale attraverso l’inclusione del giro di affari delle organizzazioni criminali”.

L’elevata dimensione economica generata dalle attività controllate dalle organizzazioni criminali trova una conferma indiretta anche dal numero di segnalazioni pervenute in questi ultimi anni all’Unità di informazione finanziaria (Uif) della Banca d’Italia. Stiamo parlando di operazioni sospette “denunciate” a questa struttura di via Nazionale da parte di intermediari finanziari (per circa l’80 per cento banche e uffici postali, ma anche liberi professionisti, società finanziarie o assicurazioni). La Cgia segnala che una volta ricevuti questi “avvisi”, la Uif effettua degli approfondimenti sulle operazioni ritenute più a rischio e le trasmette, arricchite da una accurata analisi finanziaria, al nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza (Nspv) e alla Direzione investigativa antimafia (Dia). Solo nel caso le segnalazioni siano ritenute infondate, la Uif le archivia.

Tra il 2009 e il 2016 (ultimo dato annuale disponibile), le segnalazioni sono aumentate di quasi il 380 per cento. Se nel 2009 erano poco più di 21 mila, nel 2016 hanno raggiunto la quota record di 101.065. La tipologia più segnalata è stata quella del riciclaggio di denaro che per l’anno 2016 ha inciso per il 78,5 per cento del totale delle segnalazioni. Sempre secondo la Uif, nel 2016 la totalità delle operazioni sospette ammontava a 88 miliardi di euro, a fronte dei 97 miliardi di euro circa registrati nel 2015.

“I gruppi criminali – conclude Zabeo – hanno la necessità di reinvestire i proventi delle loro attività nell’economia legale, anche per consolidare il proprio consenso sociale. E il boom di denunce avvenute tra il 2009 e il 2016 costituisce un segnale molto preoccupante. Tra l’altro, dal momento che negli ultimi 2 anni si registra una diminuzione delle segnalazioni archiviate, abbiamo il forte sospetto che l’aumento delle denunce registrato negli ultimi tempi evidenzi come questa parte dell’economia sia forse l’unica a non aver risentito della crisi”.

A livello regionale la Lombardia (253,5), la Liguria (185,3) e la Campania (167) sono le realtà che nel 2016 hanno fatto pervenire il più elevato numero di segnalazioni (ogni 100 mila abitanti). Su base provinciale, come già annunciato, le situazioni più a rischio (oltre 200 segnalazioni ogni 100.000 abitanti) si registrano nelle province di confine di Como, Varese, Imperia e Verbano-Cusio-Ossola. Altrettanto critica la situazione a Rimini, Milano, Napoli e Prato. Più sotto (range tra 170 e 199 segnalazioni ogni 100 mila abitanti) scorgiamo le province di Treviso, Vicenza, Verona, Bergamo, Brescia, Novara, Genova, Parma, Firenze, Macerata, Roma, Caserta e Crotone.