L’Asd Ospedaletti Calcio sperimenta il metodo Glerean con i suoi giovanissimi
“E’ la strada più giusta per i ragazzi che devono puntare a diventare padroni del proprio tempo”
Ospedaletti. Il metodo Ezio Glerean, che prende il nome dal suo geniale inventore, allenatore ed ex calciatore professionista, è stato alla ribalta dei critici più attenti dopo la pubblicazione del suo libro “L’isola che non c’è”, manifesto per il rilancio del calcio italiano. Ripartenza che non può che avvenire, secondo l’autore, dal recupero della gioia di giocare dei giovani.
Il suo innovativo modo di affrontare gli allenamenti nei settori giovanili è stato sperimentato nel Sassuolo Calcio, squadra che milita in serie A ed che è nota per essere della città più piccola (40.000 abitanti) che raggiunge la massima serie dal dopoguerra ad oggi.
Questa evoluzione ha interessato da subito il responsabile del settore giovanile José Espinal, che ha conosciuto personalmente Glerean durante la presentazione del suo libro a Ventimiglia. Oggi anche i piccoli Orange stanno crescendo con il suo insegnamento, che Glerean spiega nell’intervista.
Mister Glerean, l’Ospedaletti ha deciso di fare tesoro del suo insegnamento, sperimentandolo con gli Esordienti classe 2006:
“Sono molto felice di vedere applicato il mio metodo nel settore giovanile Orange, perché penso che sia la strada più giusta per i ragazzi, che devono puntare a diventare padroni del proprio tempo. Noi, mister, adulti in generale, dobbiamo essere figure di supporto, in modo tale che imparino, piano piano, ad autogestirsi. La cosa più importante per crescere è imparare a scegliere, dentro e fuori dal campo. Tutti devono avere la possibilità di contribuire con il proprio pensiero alle decisioni. Per questo propongo che ci siano due capitani ad ogni partita, perché “comandare” è una grande responsabilità, troppo grande per essere lasciata in capo ad una sola persona”.
Che ruolo deve avere l’allenatore nella sua idea?
“Per quanto riguarda l’allenatore, il suo vero campionato è durante la settimana: deve far giocare tutti, per migliorare poi la partita contro l’avversario, ma l’emozione bellissima della partita devono viverla i ragazzi”.
La vittoria e la sconfitta hanno ancora senso?
“Partiamo dal dato che i pulcini non hanno più classifiche, secondo quanto deciso dalla Federazione. Questa cosa secondo me non va bene, perché vincere e perdere sono cose fondamentali. Togliere questa situazione vuol dire far crescere dei ragazzi senza che essi percepiscono bene cosa vuol dire una sconfitta o una vittoria”.
I genitori… dicevi che come adulti devono rimanere figure di supporto?
“Attenzione. Rimane quella del genitore, secondo me, una figura molto importante. Non accetto che portino i figli al campo solo perché il 70% dei ragazzini finiscono alla scuola calcio. Tante volte anche contro il volere del bambino stesso. E se diventa bravo lo danno subito in mano ad un procuratore. Il centro quindi è il genitore. Noi invece dobbiamo far diventare il giovane il principale responsabile delle scelte che lo riguardano. In altri Paesi come l’Olanda, il Belgio, il genitore viene visto come una risorsa. Dobbiamo educare i genitori nell’appassionarsi”.
Quindi durante la partita della domenica cosa succede?
“La domenica la partita deve essere gestita dai bambini, per far loro vivere direttamente quell’insieme di sentimenti ed emozioni che li aiuteranno a diventare grandi”.
Com’è la situazione dei tecnici nazionali? Sono pronti per questa rivoluzione…
“Quando vanno a fare i corsi non hanno nessuna preparazione di questo tipo. Diciamo stop alla figura dell’allenatore che grida in campo quello che i giocatori devono fare. Il suo ruolo termina alla fine della settimana di allenamento. Il match deve viverlo la squadra con le sue risorse e le proprie forze”.