Imperia, “Non parlate con me, ma con i ragazzi sotto i ponti”: processo a Rosella Dominici, l’attivista che ha aiutato i migranti

1 dicembre 2017 | 12:42
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Imperia, “Non parlate con me, ma con i ragazzi sotto i ponti”: processo a Rosella Dominici, l’attivista che ha aiutato i migranti
Imperia, “Non parlate con me, ma con i ragazzi sotto i ponti”: processo a Rosella Dominici, l’attivista che ha aiutato i migranti
Imperia, “Non parlate con me, ma con i ragazzi sotto i ponti”: processo a Rosella Dominici, l’attivista che ha aiutato i migranti
Imperia, “Non parlate con me, ma con i ragazzi sotto i ponti”: processo a Rosella Dominici, l’attivista che ha aiutato i migranti
Imperia, “Non parlate con me, ma con i ragazzi sotto i ponti”: processo a Rosella Dominici, l’attivista che ha aiutato i migranti

Il processo è stato rinviato al prossimo 9 febbraio per ascoltare i testimoni della difesa

Imperia. “Non parlate con me, ma con i ragazzi che vivono sotto i ponti”. Lo ha dichiarato ai cronisti Rosella Dominici, l’attivista “no border” accusata di aver dato del “bastardo” al sindaco di Ventimiglia Enrico Ioculano, al termine dell’udienza che si è svolta questa mattina davanti al giudice monocratico Daniela Gamba.

La donna, accompagnata da una quarantina di attivisti che hanno assistito al processo, ha raccontato il perché di quella scritta, “bastardo”, risalente allo 30 settembre 2015, giorno dello sgombero coatto del presidio no borders ai Balzi Rossi, e per la quale il sindaco Ioculano l’ha denunciata per diffamazione aggravata, essendo l’ingiuria comparsa sul social network Facebook.

Difesa dagli avvocati Fazio e Vitale, Rosella Dominici ha parlato di quello che era il presidio “nato quando i primi migranti sono arrivati a Ventimiglia per passare la frontiera e trovando un muro invalicabile si sono rifugiati sugli scogli”. “Faceva molto caldo, lo ricordo come fosse oggi”, ha aggiunto la donna, “Non c’era altro da fare se non comprare acqua e cibo e portarlo ai migranti. Da quel momento è nata una solidarietà incredibile che ha visto il coinvolgimento di centinaia di persone fino al giorno dello sgombero. Il presidio ha dato assistenza medico-legale, scuola di lingue, cibo e acqua ma soprattutto famiglia. Un’accoglienza ben diversa da quella fornita dai dispositivi ufficiali che evocano cose che non vorremmo aver mai conosciuto, come i campi di concentramento e le deportazioni”.

Al termine delle sue dichiarazioni, l’imputata ha specificato che “quella frase era riferita allo sgombero, ed è stata scritta su una foto con le ruspe e i ragazzi sugli scogli al termine di una giornata di 12 ore durante le quali non ho potuto nemmeno portare acqua ai ragazzi assiepati sugli scogli e circondati da un cordone di polizia e carabinieri”.

Il processo è stato rinviato al prossimo 9 febbraio per ascoltare i testimoni della difesa.