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Mentone, il giorno dopo l’arresto di cinque sospetti terroristi: “Attoniti, ma non abbiamo paura”

8 novembre 2017 | 17:10
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Pochi vogliono parlare, in tanti dichiarano di non sapere nulla

Mentone. Volevano uccidere “infedeli” e poliziotti, colpendo nel cuore della Costa Azzurra: il piano dei cinque presunti terroristi arrestati ieri a Metone, insieme ad altre cinque persone catturate in Francia e in Svizzera, è chiaro. Un disegno di morte, l’ennesimo dopo gli attentati rivendicati dall’Isis che hanno più volte messo in ginocchio la Francia, senza mai piegarla del tutto. Lo dimostrano gli abitanti di Mentone che, il giorno dopo la maxi operazione portata a compimento dalla polizia, dicono chiaro: “Non abbiamo paura”.

La mattina del mercoledì scorre lenta, con quella sonnolenza tipica di una giornata di pioggia in cui una cittadina sul mare, che nei giorni di sole attira turisti a frotte, sprofonda. Restano i cittadini di Mentone, i negozianti, i commessi, il postino, le mamme che vanno a prendere i bambini a scuola e i ragazzi che, dopo il liceo, si concedono un caffè tra amici prima di tornare a casa a studiare.
 Nulla farebbe pensare che solo all’alba del giorno prima in quella stessa cittadina sono state arrestate cinque persone. E in molti non lo sanno nemmeno o non vogliono saperlo e girano la testa dall’altra parte, dicendo che “no, non interessa”. La vita va avanti e parlare di terrorismo, a Mentone, può essere nocivo per il commercio. Lo dicono i negozianti che invitano i giornalisti a cercare altrove per avere risposte alle domande su come la città abbia appreso la notizia dell’arresto di cinque persone. A voler parlare davanti ad una telecamera sono in pochi e quelli che lo fanno si dichiarano attoniti, sbalorditi. Anche se ormai, dice il fruttivendolo del Marché des Halles di quai de Monleon, “non è questione di una città: un’operazione come quella di Mentone poteva accadere ovunque in Europa e non solo”. “Non sono particolarmente sorpreso, ma non sono ancora stati giudicati terroristi e fino a prova contraria esiste il diritto della presunzione di innocenza”, aggiunge il commerciante, “Non ho più paura che gli altri cittadini francesi e quelli di altri paesi: bisogna mantenere il sangue freddo”.

“Non ho paura. Non ne avevo prima e non ne ho ora”, dice Louise, studentessa, che ha quasi l’età dei due fratelli arrestati, Sofiane e Yannis Ziari, “Nella mia classe ci sono tanti francesi di origine magrebina: non mi fanno paura. Non bisogna generalizzare e non è questione di origini. Per me non ci sono differenze tra noi, si parla di francesi”.

“Conosco i genitori dei due ragazzi arrestati”, racconta Michel, postino, “Me lo aspettavo? Assolutamente no. La notizia mi ha lasciato attonito. Si tratta di persone insospettabili, non so come sia possibile”.

La bandiera della Francia sventola dal balcone di un palazzone nel plesso residenziale “Maraldi-Jean d’Arc” dove con un blitz all’alba sono stati prelevati dall’appartamento in cui vivono con la famiglia Sofiane e Yannis Ziari, 19 e 23 anni: “Non l’abbiamo messa ora”, spiega una donna, affacciata al terrazzo che dà sul parcheggio insieme ai suoi bambini, incuriositi dalla presenza dei giornalisti, “L’ho messa per i mondiali di calcio”. “Li conosco”, racconta la signora, che vuole parlare ma chiede di non essere ripresa, “Io abito qui da 12 anni e loro c’erano già. Sono un famiglia normale, mai avrei pensato una cosa del genere”. Un padre in pensione, “faceva l’autista di autobus”, raccontano i vicini. Una madre “che lavora nelle scuole” e tre figli: i due ragazzi, Sofiane e Yannis, e una bambina più piccola. “Come vi comporterete, ora, con i vostri vicini? Li sosterrete o prenderete le distanze?”: “Non lo so”, risponde la donna dal balcone, “In realtà è da un po’ di giorni che non li vedo. Io lavoro in un supermercato e loro venivano spesso a fare la spesa lì, ma da un po’ non si fanno vedere”. 
Nemmeno nel tranquillo quartiere alle porte dell’autostrada A8 si respira un clima di paura, anzi: “No, no, non ho paura altrimenti non sarei qui”, dice una donna che abita altrove ma è venuta in visita ai suoi familiari.

Il citofono della famiglia Ziari suona ma non risponde nessuno. Dalla finestra dell’appartamento dei due ragazzi arrestati, prima che le ante vengano chiuse in tutta fretta, si sente solo la voce di una donna: “Non fate riprese qui”. Quella voce, infastidita e stanca, è l’unica prova che qualcosa sia accaduto in un’alba piovosa di inizio novembre, quando “insospettabili” sono stati fermati con un’accusa gravissima e prove che paiono schiaccianti: stavano organizzando un attentato per uccidere “infedeli” e poliziotti e nessuno, a parte l’intelligence francese che li ha fermati, si era accorto di nulla.

[Si ringrazia il professor Enzo Barnabà per la collaborazione]