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Barchi e Ciantei, la storia della tradizione cantieristica a Cervo

9 ottobre 2017 | 07:46
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Barchi e Ciantei, la storia della tradizione cantieristica a Cervo

In paese vennero costruiti il “Maria Serra” nel 1922, quindi l’”Efisia Serra” e infine il “Gaetano Serra”

Cervo. “Barchi e Ciantei” significa per Cervo aver avuto per protagonista la storia e la tradizione della cantieristica, delle sue barche cervesi e dei suoi equipaggi detti “compagnie”, che si spingevano verso gli oceani, quando i marinai più ardimentosi e provetti affrontarono il mare aperto. Conoscere questa fase storica è un piacevole momento per riannodare un legame con le nostre radici, per condividere conoscenze e sapere.

Il cantiere di Cervo era ubicato nell’area oggi occupata dal camping Miramare. Nel 1919; apparteneva ai fratelli Bacicìn e Checchìn Serra che realizzarono nel primo periodo di attività tre grossi velieri: il “Maria Serra” nel 1922, quindi l’”Efisia Serra” e infine il “Gaetano Serra”. Quest’ultima unità che portava il nome del padre dei due titolari venne in seguito ribattezzata “Intrepido”. Alla costruzione presiedeva il maestro d’ascia Giacomo Biggio che era la vera anima del cantiere e che praticamente ne gestiva l’intera attività. il Biggio si occupava del reperimento del legname andando di persona a sceglierlo nei boschi del Piemonte. Egli ne disegnava l’ossatura e l’alberatura dei velieri, li impostava sullo scalo e ne dirigeva poi anche le operazioni di varo.

Il veliero veniva impostato e costruito sul “vaso” (o “carro di varo”), un basso grande telaio a guisa di slitta che stava bloccato da ceppi, sul binario in legno che scendeva con leggera pendenza dal cantiere fino al mare, inoltrandosi un poco in esso. Lo scafo era realizzato appunto dai maestri d’ascia, che ne sagomavano le ordinate verticali su cui poi erano fissate orizzontalmente le tavole del fasciame reso stagno dai calafati con canapa imbevuta di pece; ultimata la costruzione, si agganciavano in coda al carro pesanti catene per rallentarne la corsa e quindi lo si liberava dai ceppi: al comando “in nome di Dio, taglia!” l’addetto con un deciso colpo di scure tagliava l’ultima gomena che tratteneva il carro di varo che, così liberato, scivolava lungo il binario in discesa che conduceva il veliero all’ingresso in mare tra gli “urrà!” delle maestranze e di tutta la gente del borgo. E’ noto che la parte di vascello che per prima entra in acqua viene sollevata mentre è la parte opposta che viene sospinta pericolosamente verso il suolo. In conseguenza di ciò, per prevenire danni al timone ed all’eventuale elica , è prassi universale varare i natanti con la poppa in avanti. Tutto questo pero’, stranamente, non avveniva nel cantiere di Cervo. Difatti (come testimoniano le foto esposte al Museo e sui libri della Associazione Cumpagnia di Servu) i piroscafi e anche i motovelieri venivano varati rivolgendone verso il largo la prua, e nessuno più oggi sa dare una motivazione a questa stravagante modifica di prassi marinaresca. Probabilmente i fondali erano davvero profondi già in prossimità della battima.

Ciò premesso nel 1922 il cantiere fu gestito direttamente dal Biggio e vi venne costruito fra l’altro il brigantino “Carloforte” ed imbarcazioni di minori dimensioni destinate alla pesca del tonno in Sardegna. Dopo un altro periodo di inattività, nel 1940 i fratelli Serra riaprono il cantiere affidandone nuovamente la direzione al Biggio che realizzò due grossi motovelieri in legno di circa 800 tonnellate battezzati “Fede”, varato nel 1943, “Speranza” nel 1946, ed infine la motonave “Amor” nel 1948. Fu questa l’ultima costruzione del cantiere che appunto quell’anno chiuse definitivamente i battenti.