Dalla Valle Argentina a Parigi per affermarsi come architetto: “Se vuoi avere credito in Italia devi emigrare”

10 settembre 2017 | 17:05
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Per esprimere il suo talento sette anni fa Mattia Paco Rizzi è stato costretto a trasferirsi all’estero

Badalucco. In Italia non vedevo un futuro per la mia professione. Qui è già difficile avere un lavoro ordinario, figuriamoci trovare sbocchi per sviluppare progetti all’avanguardia. Realizzare qualcosa di nuovo, di veramente innovativo in questo Paese è quasi impossibile. La scelta di cercare un’opportunità all’estero per me è stata molto naturale”. Sette anni fa il 34enne Mattia Paco Rizzi è emigrato in Francia trasferendosi nella capitale Parigi. Nato a Mentone e cresciuto fra gli ulivi della Valle Argentina, a Grappiano, era alla ricerca di un luogo dove poter esprimere il proprio talento o comunque mettersi alla prova. Giovanissimo architetto-artista, l’estro creativo di Rizzi in Italia non riusciva ad affermarsi. Così, ricevuta la pergamena di laurea presso l’Università di Genova, ha preso un aereo ed è approdato nel cuore della cultura, dell’arte e dell’architettura contemporanea.

Parigi mi ha aperto le sue braccia – racconta Mattia –. Naturalmente non è stato semplice, ma questa megalopoli di circa 16milioni di persone mi ha in poco tempo portato a raggiungere quei piccoli e grandi risultati che in Italia non mi sarei mai sognato. A Parigi inoltre ho avuto la fortuna di entrare a far parte del celebre collettivo internazionale Exyzt, che, precursore della nouvelle vague dell’architettura partecipativa, mi ha avviato a quella pratica dell’architettura effimera e del social design che contraddistingue il mio lavoro”.

Architetto per educazione e artista per devozione come si definisce, le opere di Mattia Paco Rizzi fondono l’architettura e le arti plastiche in una delicata alchimia. Il suo genio tanto ragionato quanto poetico ha trovato nel Paese d’Oltralpe quella gratificazione professionale che paradossalmente gli ha aperto poi la porta dell’Italia. Solo per fare un esempio, lo scorso anno insieme al collega Luigi Greco con cui ha fondato lo studio parigino “Grriz”, è stato invitato alla XV Biennale di Architettura di Venezia dove ha realizzato l’installazione site-specific del Giardino delle Vergini da destinare al padiglione nazionale.

Devo ammetterlo, la chiamata è stata un po’ singolare, quasi un paradosso – evidenzia –. Seppur sia dovuto emigrare all’estero per affermarmi, ultimamente sto dando vita a diversi progetti proprio nel paese da cui sono scappato. Il che spiega che in Italia per avere credito, per essere riconosciuto devi prima andare via, devi fare esperienze fuori. E questo non è solo accaduto a me: ho tanti compagni di viaggio che hanno dovuto intraprendere la mia stessa strada”. Strada che, seppur per un breve periodo, di recente ha ricondotto Mattia nella terra in cui ha trascorso l’infanzia, la Valle Argentina.

Da qualche mese infatti il giovane architetto segue un progetto di riqualificazione urbana dal nome “Badabum” che ha riportato in luce l’antica anima di piazza Marconi a Badalucco: “Volevo trasferire quanto appreso fuori dai confini nazionali qui, in questo paese dinamico, pieno di ragazzi di buona volontà – spiega –. Avevo in mente di realizzare un progetto di micro-architettura, qualcosa che in passato era e che oggi non esiste più. Con l’associazione culturale locale PuntoDiFfusione abbiamo allora individuato piazza Marconi, nota a tutti come il ‘Giardino’”. “Perché anni e anni e anni fa – come ci ha spiegato Stefano Rovero, 25enne studente al Politecnico di Torino e membro di Punto DiFfusione –, il sito ospitava l’orto del diacono e con tutte le sue aeree verdi e le sue coltivazione era il luogo di ritrovo della comunità: i grandi giocavano a petanque e i bambini a biglie, tutti venivano qui ed erano felici. Successivamente però è stato trasformato in un grande parcheggio e dell’antico giardino non vi è rimasta nessuna traccia”. Almeno fino ad oggi, in quanto “Badabum” ha portato alla nascita di una struttura semovente ricca di fioriere che ha ristabilito quell’equilibrio tra spazio pubblico e ambiente naturale che il tempo ha mutato svuotando il luogo del suo significato originario.

Spero che le persone comprendano l’importanza di quest’installazione, spero che se ne approprino e che entri dentro di loro. Si tratta di un’edizione numero uno, un precedente che mostra all’Italia quanto lavorare nello spazio pubblico con idee innovative può essere possibile”, conclude l’architetto-artista.

(Video Jacopo Gugliotta)