Vittorio Toesca, il sanremese che alla richiesta di aiuto di migranti e minori in difficoltà ha detto “Io ci sto”

5 agosto 2017 | 08:35
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Vittorio Toesca, il sanremese che alla richiesta di aiuto di migranti e minori in difficoltà ha detto “Io ci sto”

Fin da quando frequentava il liceo ha scelto di aderire al vasto mondo delle associazioni di volontariato

Sanremo. Lui ci sta. Vittorio Toesca, 27enne sanremese cresciuto nel borgo di Bussana Vecchia, ci sta ad aiutare i più deboli, ad assistere e curare tutti coloro che hanno bisogno senza discriminazione di etnia, sesso ed estrazione sociale. Vittorio ci sta, contrariamente alla tendenza che accomuna gran parte dei suoi coetanei, quei giovani sempre più distanti dalla realtà, disinteressati alla dimensione pubblica, quasi indifferenti alle emergenze e sofferenze umane che caratterizzano il nostro secolo.

Vittorio fin da quando frequentava il liceo ha scelto di aderire a quelle forme di partecipazione sociale riconducibili al vasto mondo delle associazioni di volontariato. “Una scelta che è nata dal cuore – racconta a Riviera24.it –. Sono sempre stato portato al dialogo, all’apertura nei confronti del più debole, di chi convenzionalmente viene etichettato come ‘diverso’. Presa coscienza di questa mia inclinazione sono andato incontro alla strada del sociale, dapprima, durante gli anni del liceo e i primi di università, prestando servizio di volontariato, poi intraprendendo il servizio civile e successivamente venendo assunto presso realtà locali appartenenti al terzo settore, quali cooperative e fondazioni. Mi sono sempre occupato di assistere i bisogni dell’altro senza pregiudizio. Ho fatto attività di orientamento e assistenza ai migranti, ho seguito malati psichiatrici ed ex tossicodipendenti che ho accompagnato in programmi di riabilitazione e reinserimento sociale anche dopo lunghi periodi di detenzione. Attualmente sto lavorando come educatore di minorenni segnalati dai servizi sociali o minorenni stranieri non accompagnati, quindi ‘sbarcati’ sul nostro territorio senza i genitori o parenti al seguito”.

Alla richiesta di aiuto delle cosiddette fasce deboli Vittorio non si è mai tirato indietro, tutt’altro: ad esse si è avvicinato piano piano, amorevolmente, intessendo anche rapporti amichevoli che hanno arricchito il suo animo di tutte quelle fragili storie che ogni giorno hanno affollato i centri presso cui ha operato. “Non c’è stato incontro che non mi abbia segnato o insegnato qualcosa – ricorda –. In particolare, mi hanno lasciato e mi lasciano tutt’ora un segno maggiore le storie degli stranieri. Storie molto lontane dalle nostre, anche dalle nostre brutte storie italiane. Fra gli altri, mi è rimasto impresso sulla pelle il racconto di un ragazzo nigeriano che è stato costretto a lasciare la sua terra perché perseguitato da un’associazione mafiosa che lo aveva costretto a unirsi a loro. Un racconto sconvolgente. Non sono comunque da meno quelli di alcuni italiani, racconti toccanti, insegnativi che ti fanno rendere conto di quanto basta veramente poco per finire in un’aspirale negativa e distruttiva. Dal piccolo della mia esperienza, ho appresso che il disagio sociale non ha colore e non ha ceto ma comprende tutte le etnie, le età, tutte le estrazioni sociali”.

Ma cosa vuol dire essere un giovane che giorno e notte lavora all’interno di queste realtà, soprattutto quelle delicate e spinose insieme come quelle dei migranti? “Vuol dire non porsi mai dei limiti, andare oltre le barriere del pregiudizio: se una persona ha bisogno di te, ha bisogno di te. Si tratta poi di un mondo tutto particolare, dove da un lato, come nel caso dei migranti, devi far fronte a una moltitudine di problematiche ciascuna inerente a questioni specifiche ma tutte con il comune denominatore dell’abbandono della propria famiglia e terra di origine, di viaggi degradanti, vere e proprie tratte di vite umane. Dall’altro, invece, è quasi sorprendente scoprire come questi ragazzi abbiano gli stessi problemi, le stesse aspirazioni dei nostro ragazzi, dei nostri adolescenti, come ad esempio il desiderio di inserirsi all’interno di una squadra di calcio, di completare un percorso di studi e, in futuro, di avere un lavoro normale”.“A tutti loro– conclude Vittorio –voglio dire solo una cosa: non perdete mai la speranza”.