Roberto Ravera firma la prima scoperta internazionale in neuroscienze sull’epidemia di Ebola in Sierra Leone

19 luglio 2017 | 11:34
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Roberto Ravera firma la prima scoperta internazionale in neuroscienze sull’epidemia di Ebola in Sierra Leone

Insieme alla sua equipe di ricercatori per ‘proteggere l’infanzia’

Sanremo. Capire quali sono le implicazioni celebrali che si determinano sul cervello dei bambini quando vengono esposti a condizioni di grave stress e di grave trauma. Uno studio unico, fresco di pubblicazione sulla rivista internazionale Frontiersin, frutto di una ricerca per vari motivi complessa, durata dieci anni, ma che ora finalmente raccoglie il riconoscimento mondiale nell’obiettivo di comprendere la necessità di proteggere l’infanzia.  A firmarlo è il direttore della struttura di Psicologia Asl 1 Imperiese Roberto Ravera insieme alla sua equipe di ricercatori di neuroscienze formata da Vittorio Gallese, Maria Alessandra Umiltà, Valentina Evangelista e Martina Ardizzi.

Riviera24 - Roberto Ravera studio comportamentale Ebola in Sierra Leone

In Sierra leone abbiamo iniziato a studiare i bambini soldato e poi i bambini di strada e quelli che sono ospiti nella mia comunità in Sierra Leone e successivamente i giovanissimi ragazzi del carcere. – spiega orgogliosamente  RaveraEravamo li anche durante l’epoca di Ebola, e lì, in quel Paese completamente terrorizzato e traumatizzato da quel virus spaventoso, abbiamo avuto l’opportunità di prenderci carico soprattutto di bambini e ragazzi sopravvissuti alla malattia. E quello che ci siamo chiesti è che cosa è successo dentro di loro alla luce di quest’esperienza che ha due assunti generali: il primo quello di ammalarsi (col sangue che esce dalle vescicole e gli occhi, con gli operatori che girano mascherati,… ) e il secondo è che quei bambini hanno visto morire i loro cari sterminati dal virus. Ci siamo quindi preoccupati di realizzare uno studio neurofisiologico su di loro, una ricerca complessa che è stata messa in atto più di un anno e mezzo fa.. Quello che abbiamo scoperto è che ‘i bambini subiscono delle alterazioni a livello neurofisiologico soprattutto per quanto riguarda la percezione delle espressioni altrui’. L’espressione altrui è un aspetto infatti fondamentale di quello che chiamiamo il cervello ‘sociale’. L’espressione altrui è un processo attraverso il quale costruiamo nel corso di tutta la nostra infanzia il senso della ‘intersoggettività’, cioè il modo attraverso il quale ci si pone agli altri (l’empatia). Un bambino che cresce in un ambiente sano normalmente poi sviluppa una sua capacità di empatia. “Quei bambini che invece seguiamo in Sierra Leone quando crescono fanno fatica ad avere empatia. In genere sono bambini che, quando guardano l’espressione degli altri (processo neurofisiologico e pertanto non pensato) tendono a fraintendere le espressioni altrui, modificando la traiettoria verso espressioni o distorte o amplificate, in questo caso la rabbia, che probabilmente è il loro stesso sentimento dominante.  Il trauma si incarna nel cervello di questi bambini, rendendoli disfunzionali“.

Per il sanremese Roberto Ravera e il suo gruppo sono stati anni faticosi “in cui abbiamo vissuto una sorta di iniziale boicottaggio, soprattutto perché quando si fa ricerca in questi Paesi in genere ci si dovrebbe rifare a protocolli diagnostici che sono validi nel mondo occidentale e che pertanto risultano difficili da fa accettare in altre zone. Cosa facciamo, non facciamo quello studio perché non abbiamo gli strumenti per farli?” Così, insistendo, col tempo il team è riuscito a costruire nuovi paradigmi sperimentali che potessero essere applicati in quelle realtà, così da poter finalmente riconoscere quello che è il dolore nel’infanzia. Un percorso che vuole così portare il senso della ricerca anche etica nei Paesi in via di sviluppo, dove sarebbe molto importante fare studi per due ragioni fondamentali:  per capire realmente quali sono le condizioni che questi bambini vivono non solo in senso psicologico ma anche in quello neurologico e neurofisiologico.  Il secondo motivo è che, alla luce di queste scoperte (che poi vengono pubblicate su riviste internazionali) si cerca di nobilitare il senso dell’aiuto a questi bambini. “Queste ricerche devono far capire la necessità di proteggere l’infanzia. Perché la protezione dell’infanzia sopratutto in questi Paesi, si ricollega alla necessità di prevenire le malattie psichiatriche”.

Tutte le ricerche di questi dieci anni, ormai tradotte anche in cinese e lette in tutto il mondo, hanno finalmente riscontro di grande prestigio, anche pensando al coraggio avuto nel portare macchinari complicatissimi in Paesi in cui non c’è nemmeno la corrente e alla determinazione di portare adesso strumentazioni  che permetteranno studi ancora più dettagliati e complessi.

Ora Ravera, riconoscente all’Asl 1 Imperiese per aver sempre condiviso il suo progetto, è chiamato in tutto il mondo così come tutto il suo gruppo di ricercatori che, ognuno nei suoi ambiti, diffonde mira a diffondere una nuova cultura, più etica, nei confronti dell’infanzia nei Paesi in via di sviluppo. Ma attenzione, si tratta di studi che hanno comunque una ricaduta ovunque, questo perché lo studio della mente e de cervello si apre a spazi infiniti. A finanziare questa straordinaria ricerca è stata FHM Italia, l’associazione di Roberto Ravera che ha pure finanziato il dottorando della giovane ricercatrice Martina Ardizzi che si è specializzata proprio in studi di questo tipo “e anche questo, per noi, è un fiore all’occhiello”.