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Estetica e città, perché una città è bella?

14 luglio 2017 | 09:51
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Estetica e città, perché una città è bella?

Rispondere non è semplice, occorre riflettere sulla forma dei nuclei urbani mentre si è sempre discusso sull’analisi delle strutture sociali ed economiche

Riprendo una chiacchierata fatta con un amico sull’estetica delle città.

Molte volte mi sono fatto una domanda. Perché una città è bella? Rispondere non è semplice, occorre riflettere sulla forma dei nuclei urbani mentre si è sempre discusso sull’analisi delle strutture sociali ed economiche. Non credo esista una “estetica urbana” applicabile in tutti i casi, sarebbe difficile individuare criteri applicabili a diversi contesti territoriali, culturali, sociali tali da poter definire e valutare l’estetica di una città. Ogni città è differente e la stessa percezione estetica è figlia della società cui appartiene e nasce dall’analisi di singoli elementi quali case, palazzi, nuclei abitativi ed edifici ad uso collettivo che sono in continua evoluzione e trasformazione per mano di più soggetti.

Ma allora come si individua l’estetica di una città? Con il senso di appartenenza, con sentimenti e sensazioni, riconoscendo i luoghi della nostra vita attraverso gli odori, i colori. Camminando per la città, la nostra città, abbiamo modo di sentirci sempre a “casa”. L’estetica della città è un sentimento, semplificando potremmo immaginare di guardare una città come un’opera d’arte, giudicando una statua, una fontana, una piazza. Le emozioni che ne scaturiscono sono figlie della nostra cultura, della nostra sensibilità e ragione di essere.

Tutto questo è possibile con semplici nozioni di carattere umanistico: siamo tutti in grado di dare, più o meno, un giudizio estetico. In un momento sociale come questo, trovo che

l’estetica possa essere un’ancora di “salvezza” nei rapporti tra i cittadini e città, dove non dovrebbero mancare i valori di gusto e ricchezza riconoscibili nei palazzi o nei tracciati urbani. Un nucleo urbano organizzato, pulito, esteticamente curato nei possibili dettagli, vivibile e vissuto porta gli abitanti ad avere un comportamento sociale consono e dettato dal piacere di vivere un’estetica della città che si sente propria. Si diventa orgogliosi di questo. E’ il senso di appartenenza di cui sopra.

Concludo con le parole di Italo Calvino tratte da Le città invisibili del 1972:

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

Paolo Tonelli

www.palotonelli.com

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