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Pieve di Teco, mosso da pietà ospita anziano senzatetto che lo “ripaga” facendo lavori di casa “in nero”: benefattore a processo

7 aprile 2017 | 18:42
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Pieve di Teco, mosso da pietà ospita anziano senzatetto che lo “ripaga” facendo lavori di casa “in nero”: benefattore a processo
Pieve di Teco, mosso da pietà ospita anziano senzatetto che lo “ripaga” facendo lavori di casa “in nero”: benefattore a processo
Pieve di Teco, mosso da pietà ospita anziano senzatetto che lo “ripaga” facendo lavori di casa “in nero”: benefattore a processo

Un gesto di puro altruismo è sfociato in una causa giudiziaria che alla fine si è conclusa con un’archiviazione per l’imputato

Pieve di Teco. Una notte del novembre 2013, tornando a casa, Marco M. incontra sulla sua strada il signor “Pino”, un anziano, debole e gracile che da qualche tempo vive in una pensilina della corriera. Fa freddo. Marco M., che ha da poco perso la madre, non ce la fa a chiudere gli occhi e far finta di non vedere quell’uomo che tutti conoscono in paese ma che nessuno aiuta davvero e, mosso da tenerezza nei confronti di quel “nonnino”, lo invita a casa sua: “Vieni con me” gli dice, “Ho una stanza e un bagno per te”.

Inizia così una convivenza a tre: “Pino”, al secolo Giuseppe P., Marco M. e la sua compagna, Valentina R. L’anziano, da tutti definito un “sempliciotto”, viene adottato da Marco e Valentina, per i quali diventa presto uno di famiglia. Lo portano con loro in campagna, a fare la spesa e nell’appartamento sopra a quello in cui vivono, di proprietà di Marco M.: mentre quest’ultimo è impegnato in piccoli lavori di manodopera, “Pino” gli fa compagnia e, di tanto in tanto, ramazza per terra per sentirsi utile. “Lo portavamo sempre con noi per evitare che andasse in paese a bere”, hanno spiegato oggi, davanti al giudice monocratico del tribunale di Imperia Daniela Gamba, Marco e Valentina, sentiti come imputato e teste, nel processo a carico di Marco M.
Come ha potuto, la spontanea reazione di un giovane italiano trasformarsi in un’accusa nei suoi confronti? Tutto ha avuto origine per un fraintendimento, chiarito oggi davanti alla Legge, che ha assolto Marco M. da ogni accusa.

L’episodio contestato risale al 16 ottobre 2014, Marco M., la sua compagna Valentina e il nonnino “Pino” sono, come quasi ogni mattina, nell’appartamento da restaurare al piano di sopra di quello in cui vivono. Marco sta murando delle piastrelle, Pino e Valentina sono con lui. Ad un certo punto squilla il telefono: è l’ospedale. Il padre di Marco è stato ricoverato, sta male. Marco e Valentina si preparano di corsa e avvertono il nonnino adottivo: “Per piacere Pino, chiudi la porta e vai in casa. Noi dobbiamo andare”.

Qualche ora dopo, mentre era ancora al capezzale del padre, Marco riceve una telefonata dal fratello: “Quando torni vai in caserma dai carabinieri, porta i documenti”. Marco M., spaesato, si reca dai militari e scopre così di essere stato denunciato ai sensi del decreto legislativo del 9 aprile 2008 , n. 81: gli si contestano, in particolare, le mancate “misure per la salute e sicurezza nei cantieri temporanei o mobili”.

Cosa è successo? Pino, invece di tornare a casa come gli era stato chiesto, aveva iniziato ad usare il martello pneumatico per completare i lavori iniziati da Marco. “Nessuno glielo aveva chiesto”, precisano Marco e la sua ragazza, e un altro teste, che conosceva l’anziano, conferma che “non era neanche in grado di fare certi lavori”. In quel momento, però, nel “cantiere” entrano i carabinieri, che trovano l’anziano alle prese con strumentazione da lavoro e lo scambiano per un operaio assoldato da Marco M.

Disgrazia vuole, inoltre, che il povero “nonnino”, quindici giorni dopo il fatto si ammali e venga accompagnato al pronto soccorso di Imperia, dove muore pochi giorni dopo, senza poter raccontare ai militari come stanno realmente le cose. Lui, raccolto infreddolito dalla strada, in quella casa aveva trovato una famiglia: “Veniva con noi in campagna e dava da mangiare alle galline. A casa metteva l’acqua sul fuoco per la pasta: faceva queste cose così, come fanno i nonni che vogliono continuare a contribuire alle faccende domestiche. Ma era magrissimo e non in salute, anche a causa dell’alcool: non gli avremmo mai chiesto di fare lavori pesanti. Anzi, non gli abbiamo mai nemmeno chiesto di fare nulla: lo faceva spontaneamente, come per ringraziare, per sdebitarsi”, hanno asserito Marco e Valentina.

Dopo aver ascoltato i testi ed esaminato l’imputato, il pm ha dichiarato: “Chiedo l’assoluzione perché il fatto non sussiste”. Ovviamente d’accordo gli avvocati della difesa Sandro Lombardi e Simona Barone. E pure il giudice Daniela Gamba. Marco M. è stato assolto: si è trattato di un qui pro quo. Di una storia di paese, iniziata in un bar e finita nell’aula di un tribunale.