Ben 1300 malati di depressione. La provincia di Imperia maglia nera (anche per rischio suicidi)

7 aprile 2017 | 09:02
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Ben 1300 malati di depressione. La provincia di Imperia maglia nera (anche per rischio suicidi)

Che fare? Giovanni Sciolè (Asl1): “Torniamo ad avere progetti e vita sociale”

Imperia. Con ben 1.300 utenti in carico – dei totali 5.500 seguiti al dipartimento di Salute Mentale Asl 1 – la nostra si conferma una provincia ad altissimo tasso di disturbo affettivo – di cui la depressione è la malattia per antonomasia –  e, purtroppo logica conseguenza , di tentati suicidi. A darne conto è Giovanni Sciolè, primario di psichiatria presso l’ente sanitario zonale che spiega il fenomeno, di cui noi pare siamo purtroppo detentori su scala nazionale, con il dilagarsi di solitudine e stress. Ormai è infatti cosa globalmente certa: dal 2005 al 2015 il numero dei casi è schizzato a dati mai registrasti prima d’ora, rilevando un aumento delcirca 20% in 10 anni e confermando questa malattia mentale come prima causa di suicidio (1,5% dei decessi), seconda tra i giovani tra i 15 e i 29 anni. E se si pensa che un articolo scientifico della Columbia University di New York spiega che meno di un terzo dei pazienti che risultano positivi allo screening della depressione riceve un trattamento, ben si comprende perché, sotto lo slogan “Depressione, parliamone” (Depression: Let’s talk) la depressione quest’anno sia stata scelta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) per celebrare la Giornata mondiale della Salute 2017.

Per tentare di contrastare il ‘male di vivere’ tipico del nostro tempo, a breve nel dipartimento di Salute Mentale si prevede anche l’entrata della neuropsichiatria infantile, “poiché stanno aumentando i suicidi e i tentati suicidi e le autolesioni anche nei soggetti sotto i 25 anni”. Dunque, un progetto di più ampio respiro e di miglior approccio visto che ad oggi i due settori – tranne a Ventimiglia su cui dal 2008 interagisce un team allargato – sono ancora separati in quanto degli utenti sotto i 25 anni se ne occupa la Salute Mentale mentre quelli  sotto i 18 sono seguiti della neuropsichiatria. Patologie giovanili che sempre più diventano tutt’uno con le dipendenze di comportamento le nuove dipendenze vissute come autocura, nel bisogno di lenire l’ansia, la depressione,  la solitudine e favorire l’accettazione sociale. “Ecco così che, attraverso droghe ricreative come l’ecstasy, l’LSD (la droga allucinogena di qualche decennio fa e adesso tornata in scena col nome di ‘cartoni’) e tutti quegli stupefacenti eccitanti (arrivati dalla Gran Bretagna negli anni ’80), adesso molti giovani trovano il modo ‘artificioso’ per riconoscersi in un gruppo”. Altro dato su cui riflettere è il fatto che negli ultimi 15 anni Asl 1 si è preso in carico un ultra sessantacinquenne su quattro “e di questi ultra sessantacinquenni sono in aumento gli ultra ottantenni. Una popolazione di età avanzata che ‘può’ incidere sul discorso del suicidio”. Una statistica che Sciolè in trent’anni  di attività finora sul campo, confessa d’aver mai prima riscontrato.

Una psichiatria del futuro deve perciò necessariamente guardare ad una stretta integrazione tra la patologia del mondo giovanile, quella dell’anziano e, terzo aspetto altrettanto importante, le dipendenze comportamentali  “che, nel nostro manuale internazionale diagnostico e statistico DSM-5  sono il gioco d’azzardo, la dipendenza da internet (diventato pericolosissimo per il cyberbullismo), da smartphone, da videogame ma anche dipendenza da sesso, dall’alcol e dallo sport”. Andando al nocciolo, oggi ci stiamo isolando e stressando sempre di più. Una problematica che anni fa nemmeno si poteva immaginare poiché senso di comunità, di appartenenza, di voglia di interazioni sociali ed emotive e di passioni davano motivo e stimolo all’individuo.

Ma allora il problema è la persona o la società? Sotto la lente dell’epigenetica c’è la ‘vulnerabilità’, ossia quanto ognuno di noi è geneticamente indifeso rispetto a determinate patologie. “Se a questo sommiamo l’inaspettata deduzione scaturita dalla ricerca che sta confermando quanto il contesto ambientale può modificare il nostro comportamento e lo stesso nostro dna, ecco spiegato lo stress (e quindi il rischio malattia della persona ‘vulnerabile’)  prodotto da una società inflessibile che chiede di essere sempre più performanti”. Psicogeriatria e le patologie giovanili, ecco in sostanza il futuro della Neuropsichiatria.

Oltre ovviamente a puntare sulla sempre sulla ricerca, “urge un cambio di paradigma, a partire dal contesto sociale che deve tornare a chiedere meno competizione e, al contrario, creare occasioni di aggregazione giovanile e passioni (che sia la parrocchia, la politica o qualsiasi altra motivazione in grado di dare senso e sprone ai nostri giorni) nelle quali prevalgano i sani valori come sport, amicizia, dialogo. Responsabilità grande anche all’interno delle scuole nelle quali gli insegnanti devono diventare finalmente tutor ‘emotivi’ più che cognitivi per i nostri giovani oggi sempre più alessitimici (analfabeti emotivamente in quanto non sanno riconoscere e leggere le proprie emozioni). La scuola, come la stessa società, diventi nuovamente elemento di progettualità”.