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Porto di Imperia, Caltagirone alza un pugno verso il cielo per l’assoluzione in appello

13 marzo 2017 | 19:18
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Porto di Imperia, Caltagirone alza un pugno verso il cielo per l’assoluzione in appello

Nessun indennizzo per il Comune, per i curatori del fallimento della Porto di Imperia e per le decine di titolari di posti barca costituiti parte civile

Torino.  “Grande soddisfazione amara”. Una frase che racchiude lo stato d’animo di Francesco Bellavista Caltagirone, il costruttore romano settantottenne che ha vinto due volte, in primo grado e in appello, ma che in questa vicenda ha conosciuto anche la prigione per nove mesi.

Una battaglia vinta due volte con al suo fianco l’avvocato Nerio Diodà, noto legale milanese che ha seguito una storia giudiziaria che sembrava non finire mai. Oggi era già nel suo studio in riunione con i suoi fidati collaboratori. Resteranno indelebili quelle immagini di Caltagirone che ha esultato e alzato un pugno verso il cielo una volta che i giudici hanno letto la sentenza che lo assolvevano da ogni accusa. Uscito dall’aula 51 del palazzo di giustizia della Mole aveva il sorriso stampato sulle labbra, ma tanta amarezza in corpo e una ferita difficile da rimarginare. “Come vuole che stia con due processi subiti da persona innocente”. Per lui  la soddisfazione più grande è stata comunque quella di aver vinto due volte. Ma non dimentica certamente quei nove mesi trascorsi dietro le sbarre   un impero, il suo,  che si è sgretolato per inchieste giudiziarie costate quasi un milione di euro tra indagini e intercettazioni.

E a chi gli chiede che cosa ne sarà di quel porto lasciato incompiuto Caltagirone risponde serenamente “che deve essere concluso”. Bocce ferme e si va avanti, ma resta alle spalle una vicenda che ha fatto del male al costruttore e alla sua famiglia. Oggi può giustamente esultare per la seconda assoluzione arrivata a tre anni di distanza per un maxi-processo che da Imperia aveva preso la via di Torino per l’impossibilità di formare un tribunale nella città ligure. “Da domani si vedrà, ma senza dimenticare il passato”.

Restano quelle le parole pronunciate in aula dai giudici torinesi e che prestano diventeranno documenti depositati nella cancelleria del tribunale. Ma una cosa a questo punto è certa. Per i giudici di primo grado non c’pera alcuna “truffa colossale” architettata per “arricchire Caltagirone e i suoi amici” con un’infrastruttura che “non si voleva nemmeno completare” , da archiviare anche le accuse sulle norme aggirate per affidare l’appalto senza gara alla società Acquamare (emanazione del gruppo caltagironiano Acqua Pia Antica Marcia), per far lievitare il corrispettivo da 160 a 209 milioni di euro, elaborare un contratto di permuta che innalzava ulteriormente il valore a 338 milioni a fronte di costi che si fermavano a 77 milioni.

 I giudici del tribunale di Torino, nel novembre 2014, scrissero che questa ipotesi “era inficiata da equivoci” che si “dileguavano alla mera attenta interpretazione della volontà contrattuale delle parti, cristallizzata nei contratti e illuminata dai verbali delle discussioni in consiglio comunale o nelle riunioni del Cda della società Porto di Imperia”. E anche i loro colleghi della Corte d’appello, con la sentenza di oggi, sembrano aver sposato la stessa tesi. Come dire: tutto finito in una bolla di sapone, ma la ripartenza è difficile. Inoltre sono sicuramente amareggiati anche altri dopo il verdetto arrivato dopo due ore di camera di consiglio oggi a Torino: non vi sarà alcun indennizzo per il Comune, per i curatori del fallimento della Porto di Imperia e per le decine di titolari di posti barca che si sono costituiti parte civile in questo processo. Con la sentenza assolutoria arriva il sigillo finale di una storia giudiziaria che ha messo in ginocchio un progetto che avrebbe dovuto far decollare una città e la Riviera.