Ospedaletti Calcio, la cantera dell’integrazione: la storia di Omar, migrante di 17 anni col sogno di diventare calciatore

10 marzo 2017 | 08:55
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Ospedaletti Calcio, la cantera dell’integrazione: la storia di Omar, migrante di 17 anni col sogno di diventare calciatore

Ma se il sogno di diventare un calciatore ha sconfitto un lungo viaggio, le prigioni libiche e gli scafisti, non ha però sconfitto la burocrazia italiana

Ospedaletti. Il calcio può essere uno strumento importante di integrazione e di aiuto a chi ha avuto una vita difficile. E’ la storia di Omar 17enne del Gambia che è arrivato in Italia in un modo rocambolesco ed avventuroso, percorrendo le rotte che i migranti dall’Africa fanno per giungere in Europa alla ricerca di speranza e futuro. Omar aveva un sogno che era quello di fare il calciatore e dopo mille peripezie ci è riuscito, a migliaia di chilometri dal suo paese, ad Ospedaletti, terra ai confini d’Italia. Incontriamo Omar prima dell’allenamento del venerdì e viene in mente “La leva calcistica della classe ’68”, ossia un ragazzo dagli “occhi grandi e il cuore pieno di paura”. Già perchè di paura Omar ne ha avuta tanta, partendo poco meno di un anno fa dal Gambia, da solo, per arrivare in Europa è andato prima in Senegal, poi Mali, Burkina Faso, Nigeria e infine la Libia. Giunto a Tripoli racconta di aver passato due mesi in galera perchè clandestino, poi la liberazione e via verso una delle tante carrette del mare che portano migliaia di disperati verso le nostre coste per sfuggire ad un presente e futuro di fame, miseria e guerra. “E’ stato un viaggio duro e pericoloso – racconta timidamente Omar – ma per fortuna è durato solo un giorno e siamo sbarcati in Sicilia. Dalla Sicilia mi hanno mandato in una casa famiglia a Roma e poi sono arrivato a Bordighera. Mi piace giocare a calcio, il mio idolo è Keità della Lazio e da grande voglio diventare un calciatore. Qui – prosegue – mi trovo bene con la gente, piano piano mi sto integrando.”

Assieme ad Omar c’è un altro ragazzo, un eritreo suo coetaneo che grazie al pallone sta cercando di rifarsi una vita. Ad allenare Omar c’è Jose Espinal, gemello di Vinicio, ex Atalanta, Novara, Sanremese, con un’esperienza nel campionato belga nell’Eupen e attualmente uno dei punti cardine dell’attacco dell’Ospedaletti che milita in Prima Categoria e che si sta giocando l’accesso alla Promozione. Per uno strano caso del destino, la storia di Espinal trova delle similitudini con quella di Omar: “Io sono arrivato dalla Repubblica Dominicana in Italia nel 1991 assieme a mia mamma e mio fratello. Il calcio per me – evidenzia Espinal – è stato il motore di tutto, sono il primo a dire che lo sport aiuta ad integrare e per fortuna mio arrivo in Italia non è stato traumatico come quello di Omar. Sono due ragazzi molto educati – riferendosi ad Omar e al suo amico eritreo -, si comportano bene in campo e sono un esempio per gli altri ragazzi.

Loro non hanno avuto niente dalla vita a parte questo sogno e sono contento che l’Ospedaletti faccia questo servizio sociale, perchè è anche così che si dà un senso al calcio.” Ma se il sogno di diventare un calciatore ha sconfitto un lungo viaggio, le prigioni libiche e gli scafisti, non ha però sconfitto la burocrazia italiana: essendo un minore, straniero e senza genitori, la Figc a Roma non ha ancora dato il nulla osta per il tesseramento, così Omar, è costretto a guardare le partite della sua Juniores dalla tribuna, sperando di scendere in campo molto presto.