La classicissima Milano-Sanremo com’era negli anni ’50

17 marzo 2017 | 10:10
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La classicissima Milano-Sanremo com’era negli anni ’50

Il ricordo di quei campioni che sfrecciavano lungo la Riviera

Sanremo. La mia Milano-Sanremo anni ’50 era un mito, una leggenda, qualcosa che andava aldilà del reale fatto sportivo. La vivevo tutto l’anno nella mia fantasia che immaginava ogni metro di quella corsa e a San Giuseppe, il suo giorno dedicato, rappresentava il sogno che si avverava. Era un pomeriggio seduto sui paracarri dell’Aurelia. Allora la chiamavamo “strada nuova”. L’atmosfera era la stessa della canzone ‘Bartali’ di Paolo Conte.

Era anche l’unico giorno in cui si comprava al mattino la Gazzetta dello Sport che tra le mie dita, sfogliandola, scricchiolava come il pane appena sfornato. Correvo subito alla pagina degli iscritti, per identificare i numeri dei corridori che, nel primo pomeriggio, sarebbero passati davanti ai nostri occhi. Noi eravamo a bordo strada, con le mani strette a quelle dei genitori, lanciando sguardi curiosi alla carovana delle auto ammiraglie. Per prime passavano le auto delle réclame, l’odierna pubblicità. Le ricordo tutte: Ramazzotti, Ricard, Chlorodont, Carpano, Sanson, Stock 84 …Ognuna lanciava dei gadget, e noi a coglierli al volo o in qualche angolo. Colsi un berretto della Faema, che mi andava comodo, ma lo tenni come un tesoro. Mi sentivo anch’io protagonista di quell’evento.

Erano anni che lo curavo, gli facevo il filo, come quando coglievo la coda della scimmia Camillo alle giostre. I suoni dei clacson erano musica squillante, come il rombo delle auto e delle motociclette, e le urla dei loro motociclisti che informavano sull’andamento della corsa. Il traffico si faceva intenso al momento del passaggio dei corridori. Ricordo il vento che creavano al loro passaggio. Una sorta di idrovora. Passavano nell’attimo di uno sguardo fuggente. “Numero 120, 54, 48…” erano le grida a bordo strada. E l’occhio passava rapido dalla loro bici alla pagina della Gazzetta dello Sport, vestita in rigoroso rosa. Io cercavo sempre la maglia iridata del campione del mondo.

Ero affascinato da quei colori su sfondo bianco. Li sognavo di notte. Sognai l’allora campione Rik Van Looy e lui vinse quella Milano-Sanremo del ’58. Fin qui la corsa lungo l’Aurelia. Poi di corsa a casa con l’orecchio appiccicato alla radio. Tra una scarica e l’altra viveva l’attesa, il tifo, la speranza. Poi la sentenza di Sergio Zavoli : primo il solito straniero, e l’italiano forse l’anno che verrà.Rimaneva un cappellino, un gelato ricoperto al cioccolato da digerire e il solito tema, come compito per il giorno dopo, da consegnare alla signora maestra: “descrivi la tua Milano-Sanremo”.

Un quaderno a righe, una penna con pennino, un calamaio, e negli occhi e nelle orecchie immagini e rombi di un giorno da mito, nonostante che per l’italiano, a tagliare per primo il traguardo di via Roma a Sanremo, si dovesse ancora una volta (caro amico ti scrivo) attendere l’anno che verrà.