Birra Moretti e cotoletta alla milanese, i no borders uniti per la libertà

16 marzo 2017 | 15:34
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Birra Moretti e cotoletta alla milanese, i no borders uniti per la libertà

Tanti perché per un beau geste che per Felix Croft si è trasformato in un’odissea

Imperia. Birra Moretti e cotoletta alla milanese, caffè e sigarette. No borders uniti sotto un’unica bandiera: quella della libertà che i migranti non possono respirare. Ci sono i ragazzi con i capelli rasta, le mamme che hanno lasciato a casa i figli con la pastasciutta pronta per pranzo. Tutti seduti al Bar Master di via XXVAprile, trasformato in un bar dello stadio prima di un derby davanti al tribunale quello che poi è diventato la gradinata dove assistere ad un processo di primavera.

Scambi di opinioni, visioni diverse e soprattutto mille domande sul perché quello che loro considerano un “beau geste” si sia trasformato in un’odissea giudiziaria. Lui, Felix Croft, in camicia bianca fuori dai pantaloni, coppola di ordinanza e aspetto ben curato cerca di rassicurare tutti: “Je suis Felix e sono innocente”, dice parlando due lingue per farsi capire da cronisti e amici. L’imputato tranquillizza chi non è finito alla sbarra. Si sono invertiti i ruoli. Non succede spesso.

E guardando bene quelle persone si scoprono anche donne ormai pensionate da un pezzo che non trattengono le lacrime per questo ragazzo di meno di 30 anni che “voleva fare solo un “beau geste” trasportando a bordo della sua auto una famiglia di sudanesi dall’altra parte del confine. L’ha ammesso lui stesso di averlo fatto per riconquistare quello che per un qualunque no border non può essere un diritto negato. L’ha fatto quasi a voler sfidare non solo coloro che quel giorno, poliziotti, carabinieri e soldati dell’Esercito erano lì a fare il loro lavoro, ma le leggi dello Stato italiano e del trattato di Schengen. Quasi come se fosse un gioco alla roulette russa. Un colpo in canna nella pistola a tamburo puntato alla tempia: o la va o la spacca. E questa volta la missione è fallita. Fermato da una pattuglia dei carabinieri, il “passeur per caso” è finito in caserma a piangere per quello che per lui era un “bel gesto”, un’azione-simbolo come forse altri no borders avrebbero fatto.

Lui oggi sotto processo e apparentemente tranquillo. I compagni prima al bar e poi in aula attenti ad ascoltare le parole di pubblica accusa e difesa e anche a prendere appunti. Perché questo processo finirà per diventare una storia da ricordare a lungo e magari un giorno diventerà un film.