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A Cervo c’è la “Scainà de rumpi cù” (Scalinata del rompi fondo schiena)

4 marzo 2017 | 06:34
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A Cervo c’è la “Scainà de rumpi cù” (Scalinata del rompi fondo schiena)

Storia del volgo, storia del toponimo

Cervo. I carruggi di Cervo sono per lo più ombrosi e spesso collegati da scalinate ripide, anfratti profumati d’umidità rugiadosa e finestre in ferro battuto con le palpebre delle persiane gelose della privacy.

I sottopassi sono rischiarati dalle lanterne a luce calda, come i lumi di candele e torce ardenti.
Le case abbracciate l’una all’altra da piccoli archi, si stringono grazie a forti tiranti secolari, nerboruti come le braccia e le mani nodose dei suoi marinai.

In cima ad ogni casa, come nido di cicogne, stazionano i gloriosi balconi periscopio, dove svettano pergolati di uva fragola, come negli affreschi di Francesco Carrega. Sono veri e propri pozzetti di antiche barche a vela, che sfidavano l’oceano virando i capi dell’intero globo. Da loro ci si protende nel vuoto sopra l’antico nucleo abitato che nasconde nei suoi vicoli testimonianze di un passato glorioso, vestigia medievali e tracce di antica memoria che meritano una visita attenta.

Oggi noi partiamo dall’Oratorio di Santa Caterina d’Alessandria, e dopo pochi passi lungo via Vittorio Alfieri imbocchiamo, salendo sulla destra, la scalinata acciottolata di picchi e mattoni in argilla, giungendo in piazza Alassio, un tempo conosciuta come piazza del Forno. Ma ritorniamo alla nostra scalinata, ovvero alla “scainà de rumpi cù'”. Sono ben 50 gradini che colmano in 25 metri la distanza tra via Alfieri e piazza Alassio. A conti fatti una pendenza di 50 gradi. Roba da vertigini, capogiri e capriole con tonfo strombettante!

Ma procediamo con ordine. Abbiamo detto che il toponimo ” scainà de rumpi cù” ha la sua matrice nella piazza Alassio alias piazza del Forno. Qui nasce la storia tradotta dai racconti del volgo. Corre l’anno 1600 e sono di moda balli popolari. Regna il più acerrimo campanilismo. Regnano le gelosie.
Certamente i “zuvenotti” (giovani) cervesi mal sopportano che le loro ragazze (le zuvene) siano oggetto di curiosità e vittime di avance di giovani, cosiddetti foresti, provenienti dai luoghi confinanti.
Quel giorno di festa del 1600, esattamente il 17 febbraio durante il ballo, i giovani dianesi esagerano nel corteggiare le ragazze cervesi. Ne nasce un litigio che ben presto dagli insulti passa alle maniere forti.
Da cosa nasce cosa e l’atmosfera presto si fa pesante e degenera in rissa. Risuonano i muri del “Fuggi, o donna gentil, fuggi il romore, delle turrite cittadine mura, fuggì del Sirio can l’ore do ardore, e la bassa e stagnante aria mal pura” (il Solitario delle Alpi). Di fatto l’ardore e il numero dei “zuvenotti” cervesi, hanno ben presto il sopravvento sullo sparuto gruppo dei dianesi.

Nel fuggi fuggi molti scelgono quella impervia scalinata e nel tafferuglio c’è una rovinosa caduta a guisa di cascata, da cui il “casus” tratto dall’evento che porta a definire e coniare il toponimo “da scainà de rumpi cu'”. Ossia la scalinata del rompi basso schiena. Oggi sia gli “aborigeni” sia i “foresti” discendendo quei gradini, possono leggere una lapide a ricordo di quei fatti e ridere di quella suggestione evocativa del tempo, che rimane nei risvolti tragicomici della storia di Cervo.