Matte risate, brigate di allegri compari e battaglie a colpi di cannone: il Carnevale sanremasco raccontato da Gianni Modena

16 febbraio 2017 | 09:55
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Matte risate, brigate di allegri compari e battaglie a colpi di cannone: il Carnevale sanremasco raccontato da Gianni Modena

“Il primo Carnevale di Sanremo affonda le sue radici nel lontano febbraio del 1563 ed era distinto da Sanremoinfiore”

Sanremo. Da alcuni decenni Sanremo festeggia il Carnevale con “Sanremoinfiore”, l’elegante sfilata di carri che stupisce cittadini e turisti per addobbi, maschere e folklore. Un tempo però il Carnevale sanremese non era solo meraviglia, fiori e signorine. Protagoniste erano matte risate, brigate di allegri compari e battaglie a colpi di palle di cannone, come ci racconta un sanremasco doc, Gianni Modena.

“Il primo Carnevale di Sanremo – ripercorre Modena citando la ricostruzione storica di Giuseppe “Pipin” Ferrari (in Sanremo 500 secoli) – affonda le sue radici nel lontano febbraio del 1563, quando a notte fonda arrivò in città il Viceré di Provenza. Appena giunto incontrò il nobiluomo Michel Angiolo Palmaro, Abate del Castello, insieme alla sua brigata. L’Abate offrì al Viceré una festosa accoglienza con frutta e confetture. Poco dopo, arrivato alla porta dei Cappuccini, in contrata plani inferioris, si imbatté in un’altra brigata capitanata dall’Abate del Piano, Michelotto Premartini, il quale gli offerse un simile omaggio di frutta e dolci. Ignaro della rivalità che regnava fra i due rioni della Pigna e di Pian di Nave, il giorno seguente il Viceré donò delle monete d’oro all’Abate del Castello, senza però fare altrettanto con quello del Piano. Tale gesto accese litigi che durarono per circa un decennio. La pace venne sancita da una cena organizzata dalla Società di Marfài, durante la quale si decretò di solennizzare ogni anno a quella data la rifatta amicizia, con due corsi carnevaleschi che ricordassero l’avvenimento”.

Nasceva così l’antico Carnevale sanremasco, una consuetudine che si perpetuò fino agli albori del Novecento con avvisi murali e la “grida” di un banditore che annunciava agli angoli di ogni strada l’arrivo dell’evento. Secondo l’usanza l’Abate del Piano doveva ricevere solennemente quello del Castello, il quale, dalla porta di Santo Stefano, scendeva in corteo fino a Pian di Nave. Il corteo era composto dai suoi familiari e dalla “Chichetin”, la sua sposa per un giorno. Tutti erano in maschera, tutti attendevano il loro passaggio e il  solenne ingresso con l’Abate del Piano al Corso di gala sulla strada Nuova. Dopodiché, accompagnati dal Podestà e dai maggiori in carica quinquennale, per l’occasione vestiti con un grottesco costume di prammatica e la tradizionale lucia-lucieta in capo, davano inizio a rumorosi e popolari festeggiamenti.

“A quanto riporta Pipin Ferrari – prosegue Modena – uno dei Corsi carnevaleschi che più piacquero ai sanremaschi fu quando si arrivò alla monumentale costruzione in rasi e tulles multicolori del conte Galatin. Si chiamava Il paradiso del vizio e tramortì ogni uomo con il suo nubifragio di odalische vestite di veli semitrasparenti. All’inizio del Novecento ai Corsi carnevaleschi si affiancò la sfilata dei carri fioriti di Sanremoinfiore. E così fu a lungo. Quando ero bambino io, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, il Carnevale si festeggiava in concomitanza della prima e tradizionale sfilata. Ricordo le battaglie di una nave dei pirati che lanciava palle di cannone. Un anno riuscii a conquistarmi quel proiettile d’artiglieria in gomma e lo conservai per alcuni mesi. Partecipare a quei corsi mascherati significava tornare poi a casa tutti imbiancati, perché insieme ai coriandoli e alle stelle filanti veniva sparata, alla vigliacca, della farina”.

I corsi carnevaleschi di allora facevano concorrenza per spirito, gaiezza, splendore a quelli altrettanto noti e acclamati di Nizza, i quali, per altro, assunsero a modello la Battaglia dei fiori che da sempre caratterizza “Sanremoinfiore”. Inoltre le maschere allegoriche o burlesche non gremivano la settimana grassa solo di fasto irriverente. Perché spesso avevano significati riposti come quello dell’enorme lucerna da carabiniere che sormontava un’ancor più enorme damigiana. Era poi abitudine aprire il Corso con la cavalcata del “Lambardàno” gallonato, mentre le signore attendevano tutte imbellettate il primo ballo alla “Filodrammatrica”. “Dopo la nascita del Teatro Principe Amedeo – conclude Gianni Modena –  incominciarono ad organizzare al suo interno veglioni mascherati che richiamavano molte persone. La sera del martedì grasso invece tutti accorrevano sul molo “corto” a piazzale Vesco e assistevano a uno spettacolo di scintille dando fuoco all’ultimo carro di cartapesta. Il giorno seguente, infine, ci recavamo in chiesa per il rito del Mercoledì delle ceneri, dove il parroco con un segno della Croce ci ripuliva dalla baldoria carnevalesca preparandoci alla quaresima”.