Imperia, il processo al no border Félix Croft: sentenza rinviata al 16 marzo

16 febbraio 2017 | 18:00
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Imperia, il processo al no border Félix Croft: sentenza rinviata al 16 marzo
Imperia, il processo al no border Félix Croft: sentenza rinviata al 16 marzo
Imperia, il processo al no border Félix Croft: sentenza rinviata al 16 marzo

Una cinquantina di attivisti hanno assistito all’udienza

Imperia. Si è conclusa oggi, dopo circa tre ore di udienza, la fase dibattimentale del processo a carico di Félix Croft, accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina perché sorpreso a trasportare in Francia cinque migranti, di cui due bambini e una donna incinta di sei mesi.

“Non abbiamo qui un passeur, ma una persona che ha agito per scopi umanitari”, ha dichiarato ai giornalisti uno dei legali di Croft, l’avvocato Ersilia Ferrante, “Chiediamo l’assoluzione perché qui il reato non c’è. Non c’è assolutamente lucro”.

In aula il collegio presieduto da Donatella Aschero ha ascoltato i testimoni di accusa e difesa, tra cui i due appuntati della radiomobile di Ventimiglia che il 22 luglio del 2016 hanno arrestato Croft mentre a bordo della sua Citroen Xara cercava di varcare il confine con la Francia con a bordo quella che poi è risultata essere una famiglia di migranti, probabilmente sudanesi.

Fondamentale la testimonianza dell’imputato, Félix Croft, che ha risposto alle domande del procuratore aggiunto Grazia Pradella, dichiarando di aver conosciuto quella famiglia la sera stessa dell’arresto e di aver agito perché impietosito dal racconto dei migranti e dalla loro situazione. “In particolare il bambino più grande, di cinque anni”, ha dichiarato l’imputato, “Aveva sul fianco destro una vasta ustione che dall’ascella arrivava fino al bacino”.

Alla domanda se avesse trasportato altri migranti in altre occasioni, Croft ha risposto: “Già altre volte mi è stato chiesto, ma ho sempre detto di no. Anche in questo caso all’inizio mi ero opposto. Poi la situazione di quella famiglia mi ha impietosito”.

Sicuro di sé e del suo operato, Croft, che ha dichiarato di vivere sei mesi negli USA dove svolge la professione di pescatore professionista e sei mesi in Francia dove lavora come operaio, ha risposto più volte anche in maniera spavalda. Alla domanda sul perché avesse in auto due coltelli a serramanico vicino al cambio manuale, ha replicato: “Mi servono per tagliare la lonza”. Poi alle rimostranze del pubblico ministero ha specificato: “Un coltello lo tengo in macchina, l’altro in tasca, poi quando entro in macchina svuoto la tasca”.
Quando gli avvocati della difesa, Ferrante e Martinelli, gli hanno domandato se avesse comunicato con facilità con i due carabinieri, Croft ha risposto: “Assolutamente no. Ho provato a parlare in inglese, mi sono servito delle poche parole che non siano parolacce che conosco in italiano e di qualche parola in francese”. “E’ stato assistito da qualche interprete?”, ha insistito l’avvocato. E Croft: “Se Google translate è considerato un interprete ufficiale sì, altrimenti no”.

Una cinquantina gli attivisti, soprattutto francesi, che hanno assistito all’udienza. Molti anche i giornalisti d’oltralpe.