Ventimiglia, anche la città di confine monitorata da Amnesty International finisce nel report “Hotspot Italia”

4 novembre 2016 | 16:18
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Ventimiglia, anche la città di confine monitorata da Amnesty International finisce nel report “Hotspot Italia”

Nessuna delle testimonianze raccolte parla di violenze subite all’interno del commissariato di polizia

Ventimiglia. Sono state realizzate anche nella città di confine le interviste ai migranti utilizzate da Amnesty International per il rapporto “Hotspot Italia – Come le politiche dell’Unione Europea portano a violazione dei diritti di rifugiati e migranti”.
I rappresentati di Amnesty hanno visitato diverse città e centri di accoglienza: oltre a Roma, Palermo, Catania, Lampedusa, Taranto, Bari, Agrigento, Genova e Como, nei mesi di luglio e agosto le visite si sono concentrate a Ventimiglia. “La maggior parte delle interviste è stata fatta a uomini, rispecchiando lo squilibrio di genere tra rifugiati e migranti”, si legge nel rapporto, “Tuttavia sono stati intervistati anche donne e minori non accompagnati. Amnesty International ha parlato con persone di almeno 10 diverse nazionalità, tuttavia questo rapporto cita esplicitamente solo i casi di alcune delle persone che hanno riferito ad Amnesty International di aver subito gravi violazioni dei diritti umani – e queste provengono principalmente dal Sudan e, in quantità minore, da Eritrea ed Etiopia”.

Molte le testimonianze di migranti, uomini, donne e minori, che dichiarano di aver subito umiliazioni o torture dalla polizia: in nessun caso, però, i racconti si riferiscono a violenze in qualche modo riconducibili al commissariato di Ventimiglia.
L’unico caso in cui si fa riferimento a fatti accaduti nella città di confine riguarda la storia di un 23enne del Darfur, Yaqoub, che ha raccontato di essere sbarcato in Sicilia il 18 agosto 2016 ed aver raggiunto la città di confine, con l’intento di andare in Francia. Il 22 agosto, però, è stato fermato dalla polizia: “Stavo andando al supermercato per comprare una ricarica telefonica, quando la polizia mi ha arrestato assieme ad altri quattro sudanesi che si trovavano anch’essi in strada. I poliziotti ci hanno chiesto da dove venivamo, e quando hanno saputo che eravamo sudanesi ci hanno ammanettato e ci hanno portato in un commissariato di polizia”, ha dichiarato il sudanese ad Amnesty International, “Lì c’erano altri rifugiati di paesi diversi, ma loro cercavano soltanto cittadini sudanesi…Il giorno seguente…la polizia ci ha condotto in tribunale…Il giudice mi ha chiesto di riferire all’avvocato che cosa volevo, e ho detto al traduttore egiziano che non volevo tornare in Sudan, in quanto io sono del Darfur. Il giudice ha affermato che avrei dovuto tornare nel mio paese. Il tutto si è svolto in maniera molto rapida, credo che volessero soltanto espellerci. Nessuno mi ha dato qualche documento o mi ha detto che cosa avesse deciso il giudice, o che avrei potuto appellarmi contro la decisione. Ci hanno portato immediatamente dai due sudanesi dell’ambasciata…hanno preso nota dei nostri nomi, e ci hanno rimandato al commissariato di polizia. Eravamo più o meno sette sudanesi…Abbiamo trascorso la notte nello stesso commissariato…Il giorno dopo, la mattina presto, saranno state circa le 6, la polizia ci ha trasferiti in pullman all’aeroporto di Torino, siamo stati ammanettati e accompagnati dai poliziotti italiani fino a quando ci hanno imbarcati su un aereo di linea egiziano. A bordo dell’aereo abbiamo trovato altri cittadini sudanesi espulsi, saremo stati circa 40, una quindicina erano del Darfur e gli altri provenivano da differenti regioni del Sudan. Sul volo c’erano poliziotti italiani ad accompagnarci, abbiamo fatto un breve scalo al Cairo e siamo quindi ripartiti per Khartoum. Siamo atterrati all’aeroporto di Khartoum alle 22 circa del 24 agosto. Ad attenderci davanti al portellone dell’aereo c’erano agenti dei servizi di sicurezza in borghese. Ci hanno portato in un’area speciale dell’aeroporto, ho visto un uomo picchiato…Siamo stati interrogati uno per uno…Mi hanno domandato perché volevo andar via dal paese, chi erano le persone che mi avevano aiutato a partire… Adesso ho paura che i servizi di sicurezza mi stiano cercando, se mi trovano non so cosa mi succederà e che cosa fare.”

Yaqoub è dunque uno dei quaranta sudanesi rimpatriati in Sudan con un volo partito da Torino. Anche contro il rimpatrio dei migranti Amnesty International punta il dito: “Amnesty International ritiene che le persone rimpatriate in Sudan, particolarmente se provengono da regioni dove ci sono conflitti armati in corso come nel Darfur, sono esposte al rischio di abusi da parte dei servizi di sicurezza a seguito del rimpatrio”, è scritto nel report che condanna quanto accaduto lo scorso 24 agosto.