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Nuda proprietà, la vicenda di un’anziana e sua nipote

27 settembre 2016 | 10:11
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Nuda proprietà, la vicenda di un’anziana e sua nipote

Buongiorno,

sono una signora anziana di settantacinque anni, in oggi ricoverata in una struttura di cura per disabili.

Sei anni fa, un po’ perché é la mia unica nipote, un po’ per promesse, oggi vane, della stessa ho ceduto a quest’ultima, con atto pubblico, la nuda proprietà di una casa di mia proprietà, per la somma di € 50.000,00.

Con contestuale scrittura privata abbiamo, altresì, dichiarato che nessun esborso é stato fatto da mia nipote, la quale si é impegnata ad assistermi per tutta la vita e, in caso di violazione di tale obbligo, a retrocedermi l’immobile o a pagarne il prezzo.

Due anni fa, le mie condizioni di salute si sono fatte precarie e io, ormai anziana e malata, nonché ricoverata in una struttura di cura, ho chiesto  a mia nipote di prestarmi l’assistenza promessa.

Mia nipote, tuttavia, con svariati pretesti, si é rifiuta di adempiere.

Piuttosto delusa per la sua condotta ho fatto presente alla stessa la mia intenzione di ottenere la restituzione dell’immobile o il pagamento del prezzo a suo tempo pattuito.

I nostri rapporti si sono raggelati.

Mia nipote é venuta a questo punto a trovarmi in clinica e, dopo un acceso confronto, purtroppo é riuscita a convincermi a stipulare  una transazione con la quale io le ho riconosco  la nuda proprietà dell’immobile e che quest’ultima non ha più alcun obbligo nei miei confronti.

Oggi, visto l’aggravarsi delle spese per il mio ricovero nella struttura di cura, la mia pensione non mi basta più e sinceramente mi sono pentita dell’accordo raggiunto tempo addietro.

Vorrei vendere l’immobile perché con il ricavato potrei pagarmi le cure necessarie e la costosa retta che in oggi ho difficoltà ad onorare vista la mia misera pensione.

Posso ancora fare qualcosa?

Grazie

Buongiorno signora,

al fine di accertare se la transazione stipulata tra Lei e sua nipote sia valida, occorre, preliminarmente, richiamare gli istituti giuridici sottesi alla vicenda in esame.

Al riguardo, faccio presente che, ai sensi dell’art. 1965 c.c., la transazione si configura come un contratto a prestazioni corrispettive, in forza del quale le parti, dinanzi ad una situazione di contrasto tra le medesime insorto ed al fine di addivenire alla composizione bonaria del medesimo o, comunque, per evitare una lite giudiziaria imminente, decidano di accordarsi, riconoscendosi reciproche concessioni.

In virtù del principio di autonomia negoziale, i contraenti possono concludere una transazione avente carattere generale, ovvero a carattere speciale.

Con la prima, le parti definiscono tutte le situazioni di contrasto esistenti fra di loro, costituendo in tale maniera una situazione nuova.

La seconda accezione fa riferimento alla definizione di un singolo affare determinato.

Peraltro, l’art. 1966 c.c. stabilisce espressamente che, per poter transigere, “le parti devono avere la capacità di disporre dei diritti oggetto della lite”, cosicché debba ritenersi nullo il contratto avente ad oggetto diritti indisponibili, in quanto non suscettibili di formare oggetto di atti di autonomia privata.

Sotto un altro profilo e con riferimento alla causa del negozio giuridico che riguarda la situazione prospettata, occorre sottolineare che la stessa debba ravvisarsi nell’intento, perseguito dalle parti contraenti, di prevenire o porre fine ad una controversia tra le stesse.

Affinché la transazione sia validamente conclusa è, quindi, necessario che essa abbia ad oggetto una cosiddetta “res dubia”, cioè un rapporto giuridico avente carattere di incertezza.

Il negozio transattivo si concretizza, dunque, in un accordo tra parti, in cui le stesse si riconoscono delle concessioni reciproche, concretizzanti il sacrificio di alcune delle proprie pretese in favore dell’altra parte, seppure non sia richiesta la sussistenza di un rapporto di equivalenza fra le medesime, cosicché l’eventuale squilibrio economico tra i reciproci sacrifici e vantaggi è del tutto irrilevante ai fini della validità dello stesso.

Tale assunto, d’altra parte, è indirettamente confermato dal disposto normativo di cui all’art. 1970 c.c., in forza del quale “la transazione non può essere impugnata per causa di lesione”.

La ragione di tale preclusione, infatti, è certamente da identificare nella causa nel negozio transattivo, preordinato non già ad assicurare la proporzionalità tra le opposte prestazioni, quanto piuttosto a conseguire la composizione della lite già insorta o prossima.

Viceversa, deve senza alcun dubbio ritenersi inidoneo a concretizzare un valido contratto di transazione l’accordo in ragione del quale una sola delle parti rinunci in toto alle proprie pretese, senza ricevere alcuna controprestazione.

Tale principio è stato, altresì, confermato dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale ha avuto modo di precisare che “elementi imprescindibili per la validità di una transazione sono l’esistenza di una res dubia, cioè di un rapporto giuridico avente carattere di incertezza, e le reciproche concessioni dei contraenti. Ne consegue che è invalida la transazione contenente il pieno riconoscimento della pretesa di una parte a fronte di una totale rinuncia da parte dell’altra” (Cass. Civ., n. 24169/2013).

Da ultimo, in ordine al profilo formale, il contratto di transazione richiede la forma scritta “ad probationem”, salve le ipotesi, espressamente previste all’art. 1350, co. 1, n. 12), c.c., in ordine alle quali l’ordinamento richiede la forma scritta per la validità ed esistenza della suddetta ipotesi contrattuale.

Sulla base di quanto esposto, è dunque evidente che la valutazione in ordine alla validità del contratto di transazione debba necessariamente prendere le mosse dall’analisi del rapporto contrattuale precedentemente sussistente tra le parti, quindi, ai sottostanti impegni assunti dalle stesse.

Vengo ora al caso di specie.

E’ fuor di dubbio che Lei, mediante atto pubblico, abbia ceduto a sua nipote la nuda proprietà dell’immobile ubicato nell’entroterra di Sanremo, mentre quest’ultima, con separata scrittura privata, si sia impegnata ad assisterLa  per tutta la sua vita e, nel caso di suo inadempimento, a restituire l’immobile ovvero a pagarne il prezzo di vendita.

Ebbene, nel predetto accordo negoziale, che sembrerebbe configurare un contratto atipico di vitalizio alimentare – cosiddetto vitalizio improprio – non sussiste alcuna situazione di incertezza che avrebbe potuto giustificare il ricorso allo strumento transattivo, essendo del tutto evidente che sua nipote, seppure sollecitata ad effettuare la prestazione assistenziale, come da accordi, abbia opposto un netto rifiuto o abbia, comunque, tergiversato, rendendosi inadempiente rispetto agli obblighi alla stessa imposti e dalla medesima ben conosciuti.

Tale circostanza ben avrebbe legittimato, già di per sé, un’azione per ottenere la restituzione dell’immobile, ovvero il pagamento del prezzo.

Né, peraltro, sua nipote pare aver mai sollevato alcuna rimostranza in ordine alle obbligazioni assunte in ragione della predetta scrittura privata.

Ad ogni buon conto, anche a voler riconoscere l’esistenza di una situazione di contrasto tra di voi – circostanza che, comunque, si ritiene insussistente – è evidente che, nella fattispecie, sia del tutto carente il requisito della reciprocità delle concessioni, necessario ai fini della validità della transazione, successivamente stipulata.

Mediante quest’ultima, infatti, Lei ha rinunciato espressamente al diritto di essere assistita dalla nipote e ad ottenere la restituzione dell’immobile o la corresponsione del prezzo di vendita, riconoscendo che la stessa fosse titolare della nuda proprietà sull’abitazione de qua.

Sua nipote, da parte sua, non ha dovuto rinunciare a nulla, né si è dovuta impegnare a riconoscere alcunché alla Sua persona.

Il contratto de quo, stipulato tra di voi – contenente la totale rinuncia di una sola delle parti alle proprie pretese, in assenza di alcuna controprestazione – deve evidentemente e necessariamente ritenersi invalido e, conseguentemente, improduttivo di effetti.

Per concludere, vista la situazione di inadempimento di sua nipote, ritengo che Lei possa tranquillamente chiedere ed ottenere per via giudiziale  non solo la risoluzione del contratto di vitalizio improprio ma, altresì, la restituzione dell’immobile concesso, senza timori.

Abogado Fonte Luca

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