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La scrittura tra realtà ed emozione nell’architettura d’interni

23 settembre 2016 | 09:28
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La scrittura tra realtà ed emozione nell’architettura d’interni

Ognuno di noi interpreta e legge le cose mediate da stati d’animo, da momenti, da situazioni. Ciò che rende speciale e diverso tutto questo è il ricordo che questi “ambienti narrati” lasciano ad o ognuno di noi, riposti nel cassetto della memoria pronti ad essere protagonisti della nostra vita. Io li adopero sovente per i miei lavori, sono una fonte inesauribile di insegnamenti, assistenti preziosi e unici

Quante volte ci è capitato di leggere un romanzo, un saggio, un libro di racconti dove come per incanto ci siamo ri-trovati in una dimensione descrittiva e narrativa che ci ha letteralmente accompagnati con la mente in un luogo definito e descritto in modo tale da percepirne quasi gli odori, le vibrazioni, le emozioni.

Gli interni in letteratura possono assumere la funzione di “copia carbone” di colui che li abita, suggerirne gli stati d’animo, comprenderne il carattere del padrone di casa. La stanza diviene attore di un evento speciale, proiezione di personalità e caratteri o avvenimenti che ne impregnano i muri. La stanza diviene, oltre che luogo di isolamento e protezione dall’esterno, potenziamento dell’espansione creativa, è dalla mia stanza che esploro e colleziono viaggi immaginari e fantastici. La letteratura segna e ridisegna i luoghi dell’abitare narrando di collezioni, di oggetti, di arredi e colori affascinando il lettore e lasciando ad esso un retro pensiero immaginativo dal sapore unico e intuizioni in divenire, elaborazioni surreali che dalle pagine scritte atterranno nel nostro tempo.

Ognuno di noi interpreta e legge le cose mediate da stati d’animo, da momenti, da situazioni. Ciò che rende speciale e diverso tutto questo è il ricordo che questi “ambienti narrati” lasciano ad o ognuno di noi, riposti nel cassetto della memoria pronti ad essere protagonisti della nostra vita. Io li adopero sovente per i miei lavori, sono una fonte inesauribile di insegnamenti, assistenti preziosi e unici.

A tal proposito e per rendere meglio l’idea vi trascrivo alcuni pezzi di Adolf Loos tratti da “A proposito di un povero ricco” del 1900.

L’uomo ricco era tutto felice. Tutto felice attraversava i nuovi locali. Dovunque posasse gli occhi si imbatteva nell’arte, ogni cosa esprimeva l’arte. Quando afferrava una maniglia posava la mano sull’arte, si sedeva sull’arte quando si abbandonava in una poltrona, sprofondava la testa nell’arte quando, stanco, poggiava la testa sui cuscini, i suoi piedi affondavano nell’arte quando camminava sui tappeti. Egli nuotava nell’arte con immenso fervore. Quando anche il suo piatto fu provvisto di decorazioni, raddoppiò l’energia con cui si accingeva a tagliare il suo boeuf à l’oignon.

Fu lodato. Fu invidiato. I periodici d’arte lo esaltavano come uno dei più grandi mecenati, i locali della sua abitazione furono riprodotti come esemplari, furono discussi e illustrati.

Ma ne erano per altro ben degni. Ogni singolo locale costituiva un’armoniosa sinfonia di colori. Pareti, mobili e stoffe erano intonati fra loro nel modo più raffinato. Ogni particolare aveva una sua precisa collocazione ed era in rapporto con gli altri secondo le più straordinarie combinazioni.

Nulla, assolutamente nulla era stato dimenticato dall’architetto. Portacenere, argenterie, interruttori della luce, tutto, tutto egli aveva previsto. E non si trattava di un intervento da comune architetto, no, perché in ogni ornamento, in ogni forma, in ogni spillo era espressa l’individualità del padrone di casa. (…) L’appartamento era veramente comodo, ma richiedeva una grande fatica mentale. Per questo l’architetto, durante le prime settimane, sorvegliava l’appartamento affinché nessun errore venisse commesso. L’uomo ricco da parte sua ci metteva il massimo impegno. Ma capitava tuttavia che, posando un libro che teneva in mano, lo mettesse soprappensiero in uno scaffale destinato ai giornali. Oppure gli capitava di posare la cenere del sigaro in quella cavità del tavolo che era destinata ad accogliere il candelabro. Una volta preso in mano un oggetto non si finiva più di cercare di indovinare quale fosse il suo posto giusto, e talvolta l’architetto doveva srotolare i disegni di dettaglio per riscoprire il posto di una scatoletta di fiammiferi. Non dobbiamo però tralasciare di dire che egli preferiva trattenersi in casa il meno possibile. Ebbene sì, dopo tutta quell’arte ogni tanto si sente anche il bisogno di riposarsi un poco.

Paolo Tonelli
www.paolotonelli.com
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