Porta di Santa Caterina di Alessandria a Cervo tra storia, riti, tradizioni e toponimi

Riferita al culto della stessa santa è la tradizione, importata dall’Africa e ormai perduta, di benedire e distribuire gallette
Cervo. “Dixe Santa Cateìna che chi u se i fa u se i ninna” (dice Santa Caterina che chi se li fa se li culla). Questa è una frase colta sulle banchette riferita alla Santa ma anche alla omonima Porta. Difatti per avere subito il taglio della testa è protettrice delle balie, dei lattanti, delle puerpere. Nel secolo XIX quella frase era ritenuta un toccasana ben augurante, per chi portava il neonato ad attraversare la porta. Allora i piccoli venivano impacchettati come mummie per far sì che il loro corpo assumesse una postura retta. Dovevano essere battezzati subito per evitare che le streghe (bazzue) sì impossessero della loro anima e corpo. Poi, un passaggio sotto quell’arco, avrebbe completato il rito propiziatorio.
“Oltre la Porta S. Caterina, che fu per tutto il Medioevo l’unica via di accesso settentrionale al borgo, protetta dalla torre sovrastante, – spiega lo studioso e storico locale Luigi Diego Elena – si accede all’omonima piazza. Uscendo possiamo invece vedere la mulattiera che fuori le mura discende al mare, collegando la mansio con l’approdo del Porteghetto da cui, superato sul ponticello in pietra Rio Schenassi, risale poi verso levante per congiungersi con la via Julia Augusta in quota su Capo Mimosa. Cervo era poi particolarmente legata al culto di Santa Caterina di Alessandria, appreso dai naviganti in terra d’Africa; ed appunto a Cervo ebbe sede una delle più antiche confraternite dedicate alla santa, fondata nella seconda metà del XIII secolo. Tale confraternita, divisa nei bracci maschile e femminile, contava grandissimo numero di aderenti”.
Oggi è ancora attiva quella maschile. “A Santa Caterina è dedicato fra l’altro il duecentesco oratorio (intitolato anche nel XVII secolo a S. Giovanni); nel ‘600 venne dedicato a S. Caterina anche l’oratorio ricavato dalla ristrutturazione del castello che ne conserva l’affresco nella volta del salone – prosegue Luigi Diego Elena – Sempre riferita al culto della stessa santa è la tradizione, importata dall’Africa e ormai perduta, di benedire e distribuire gallette, fatte di pasta non lievitata ed impresse con l’effigie della santa, durante la novena e la festa del 25 novembre, celebrata con particolare solennità a Cervo. Secondo la credenza queste gallette, chiamate “figasse” (focacce), avevano il potere di calmare i venti e scongiurare le tempeste, per cui erano elemento indispensabile del corredo di ogni navigante. Quel giorno si svolgevano anche numerose manifestazioni popolari, di cui è rimasta traccia nelle tradizionale fiera che si svolge ogni anno a Cervo appunto il 25 novembre. Insomma una Santa che ovunque ancora oggi ovunque tu vada, ovunque la trovi, tra storia, riti, tradizioni, toponimi”.