Viaggio nell’oasi del divertimento di Cala Major di Palma dove morì tragicamente Martina Rossi studentessa d’Imperia
Il quartiere turistico a ponente di Palma dove lo sballo inizia alle tre del pomeriggio e continua fino all’alba
Palma di Maiorca. Adesso porta un altro nome. Non è più il Sant’Ana Hotel, ma “Be Live Adults Only Marivent Hotel”. Un grande albergo di Carrer de la Gavina che si affaccia sull’esclusiva e frequentatissima spiaggia di Cala Major, a ponente di Palma il capoluogo dell’isola di Maiorca, nelle Baleari. In questo lussuoso hotel, il 3 agosto di cinque anni fa, morì Martina Rossi, la studentessa ventenne con i genitori che abitano a Imperia: Bruno Rossi e Franca Murialdo, lui ex sindacalista in porto a Genova, lei l’architetto. Avevano abitato per anni all’ombra della Lanterna prima di scegliere di andare in pensione e trasferirsi ad Imperia.
La figlia, durante una vacanza lontano dagli studi universitari, si lanciò da un balcone di questo albergo per sfuggire ad un tentativo di stupro, almeno questa è l’ipotesi della magistratura italiana che scartò la tesi frettolosa del suicidio della guardia civil spagnola. Una morte terribile per la quale ora sono sotto processo Enrico D’Antonio e Federico Basetti, due giovani aretini di 22 e 23 anni, accusati di favoreggiamento e false dichiarazioni. Il processo, in corso a Genova, è stato aggiornato al prossimo 24 novembre questo per valutare se sospendere il procedimento in conseguenza dello stato d’indagine dell’inchiesta principale della Procura di Arezzo relativa ai due amici degli imputati, Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, indagati proprio per la morte della ragazza.
L’albergo di Cala Major è situato in una zona residenziale, non lontano dal porto commerciale di Palma. Nei pressi del Nixe Palace. I locali della movida sono più in centro come il “Besame Mucho” nella zona di piazza Gomila, ma anche da queste parti non è difficile incontrare ragazzi di tutte le etnie che cercano di abbordare bionde e more da convincere per trascorrere una notte da sballo dopo le calde e assolate giornate di Maiorca con temperature che in questo periodo oscillano tra i 30 e i 32 gradi. Non è certo Magaluf dove i sex party sono all’ordine del giorno, ma anche Cala Major si difende. Superalcolici e anche droga si trovano facilmente se solo si resta qualche minuto a guardare il mare sorseggiando una bottiglietta di limonata “Kas” ad 1 euro e 45 centesimi acquistata nel piccolo supermarket della Gavina. “Hey amigo que necesita?”, mi sono sentito chiedere non appena avevo messo piede sulla stretta passeggiata che domina il golfo. Erano le tre del pomeriggio di sabato scorso, ma lo sballo, di fatto, già iniziava a quell’ora. E quella stessa domanda, quel personaggio poco raccomandabile che ho incontrato per caso, l’ha fatta ad almeno altre dieci persone soprattutto giovani stranieri, tanti italiani. E sarà accaduto anche quella notte d’agosto di cinque anni fa. Gruppi di italiani in vacanza tra spiaggia, mare e divertimento. Una vacanza lontano da casa da ricordarsela per tutta la vita. Come Martina, altri ragazzi però, non sono mai più tornati indietro. Morti anche in circostanze poco chiare come è successo alla studentessa appena ventenne, “una ragazza che amava la vita, senza grilli per la testa” continuano a ripetere i suoi genitori Bruno Rossi e Franca Murialdo straziati dal dolore.
La polizia si vede a Cala Major? Si c’è anche quella, ma lungo la strada più in alto, tra tornanti che sembrano quelli della pista di Formula 1 ricavata nella città di Montecarlo. La “policia” ferma di tanto in tanto qualche automobilista che proprio da piazza Gomila schiaccia sull’acceleratore per spostarsi dal centro verso le dorate spiagge della Riviera di Palma. Nel piccolo vicoletto che dal Nixe Palace, un albergone di 4 stelle accanto al “Marivent”, scende giù in fondo alla spiaggia non si vedono uomini della “guardia civil”. O almeno non capita così spesso. Forse i controlli sono sporadici nei quartieri frequentati da stranieri. Palma, come le altre città tipo Santanyi, Cala Millor, Magaluf o Manacor, vivono di turismo e il turista qui è importante per il “Pil”, quasi come se fosse una persona da venerare insomma.
“Chissà che cosa è successo allora quella sera alla povera Martina?”. Mentre me lo chiedo con insistenza entro nell’albergo dove la studentessa ha alloggiato insieme agli amici di Arezzo. Non mi fermano alla reception, neppure quando prendo l’ascensore e arrivo all’ultimo piano per poi scendere giù per le scale cercando di rivivere l’ultima notte di Martina. Come un turista qualsiasi, senza dare troppo nell’occhio, guardo e prendo nota e scatto foto. Scendo e mi accomodo anche in piscina con un solerte cameriere che mi chiede se ho voglia di una “cerveza” fresca. Ringrazio ed esco dall’albergo dove incrocio un furgone della polizia. Il primo della giornata. I due poliziotti mi guardano, ma non mi fermano e non muovono un dito neppure quando un gruppetto di ragazzi esce dalla spiaggia con bottiglie di birra in mano e cappellino d’ordinanza in testa girato al contrario che si organizzano per la sera, l’ennesima nottata di pura movida
Maglie larghe per i controlli tra i turisti della suggestiva Cala Major e forse è così che funziona da queste parti. E probabilmente era così anche quella sera con i ragazzi che avevano conosciuto Martina. Le negligenti indagini della polizia spagnola, l’omertà e l’insensibilità di quei giovani, amici o occasionali conoscenti, che quella notte ebbero un ruolo diretto o comunque di testimoni, hanno impedito di chiarire le circostanze della tragedia estiva a Palma, ma ora la giustizia italiana vuole vederci chiaro. Lei studiava a Milano, architettura all’Accademia di Brera, dopo aver frequentato il liceo classico al “Colombo” di Genova. E da Milano, Martina Rossi era partita in aereo per una vacanza a Palma di Maiorca. Quel drammatico agosto di cinque anni fa non era sola: aveva viaggiato con due amiche. Si erano sistemate all’hotel ex Sant’Ana di Cala Major. Le tre ragazze fecero amicizia con altri quattro giovani che avevano una stanza esattamente sopra la loro, al quarto piano dell’albergo. Da quel giorno è mistero fitto sulla tragedia dell’unica e amatissima figlia dei coniugi Rossi.