Dal Pakistan alla Libia fino a Ventimiglia, la storia di Raham

1 giugno 2016 | 08:38
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Dal Pakistan alla Libia fino a Ventimiglia, la storia di Raham

Da dieci anni in Italia, Raham ora non ha scelta: “Qui non c’è lavoro, voglio provare ad andare in Francia”

Ventimiglia. “Vi prego non mi riprendete con la telecamera, non voglio che mio papà mi veda così”. Non si nasconde dai giornalisti per paura che una sua immagine, catturata all’improvviso, possa finire nelle mani della polizia, Raham Attiqur: non ha nulla da nascondere a nessuno fuorché a suo padre. “Se mi vedesse in TV o su internet si rattristerebbe a vedere come si è ridotto suo figlio”, dice.

30 anni compiuti l’8 marzo, Raham è in Italia –  dove è arrivato a bordo di un barcone – dieci anni, ma ancora i documenti per vivere in regola sul territorio italiano non li ha e allora, visto che qua ormai lavoro non riesce a trovarne più, ha deciso di tentare la fortuna e raggiungere la Francia. La sua metà è Parigi.

“Sono in Italia da dieci anni”, racconta Raham, “Vivevo a Carpi, vicino a Modena, e lavoravo come operaio in una fabbrica”. Tre anni di contratto regolare, poi sempre “meno in regola”, dice: “Ho lavorato sempre in nero fin quando la fabbrica non ha chiuso. Perché ora, in Italia, di lavoro ce n’è sempre meno”.

Dal 2015, Raham è senza un lavoro e così ha deciso: andare in Francia o tornare in Libia, dove vive e lavora suo papà.“Sono stato in Libia tanti anni, anche se sono nato in Pakistan. La Libia è bellissima, a parte la guerra. Di lavoro ce n’è tanto. Non è come in Italia: se perdi il lavoro ne trovi subito un altro”. Ma il lavoro non basta per vivere soprattutto quando c’è la guerra. “Ma appena finisce”, dichiara Raham, “Io in Libia ci torno perché mi piace molto. E’ bella, bellissima”. E poi è là, che vive la sua famiglia.

A Ventimiglia, Raham ci è arrivato solo due settimane fa e da quel momento la sua casa è diventata prima una tenda sul greto del fiume e ora la chiesa di Sant’Antonio, dove ha passato la notte insieme ad altri duecento migranti, o forse di più. “Sono tanto stanco e ho male ai piedi”, racconta, “Anche io sono andato in corteo per cercare di raggiungere la Francia, ma niente. Siamo dovuti tornare indietro e ora siamo qui”.

Nei suoi dieci anni in Italia, il 30enne pakistano ha avuto modo di farsi una sua idea sulla politica nazionale: “Quando c’era Prodi si stava meglio”, dice, “Poi è arrivato Berlusconi e le cose sono cambiate”. Ai suoi occhi di immigrato, l’Italia è un paese che non si può definire povero: “Povero no, lo era quando c’era la guerra, ma ora non c’è”, però “c’è la mafia che rovina tutto”. Pensieri, riflessioni, punti di vista i suoi. Ma un dato di fatto in tutto questo c’è: “Da un anno cerco lavoro e non lo trovo, come tante altre persone, anche italiane”, conclude, “Allora cosa faccio? O vado in Francia o torno in Libia. Là c’è la guerra, ma è bellissimo”.