Giuliana Agnesi, il racconto di una bordigotta scampata agli attentati di Bruxelles
Vive nella capitale belga da quasi trent’anni, a pochi chilometri dalla stazione della metropolitana colpita dall’attacco kamikaze
“A volte esco di casa e penso: chissà se tornerò”. Giuliana Agnesi, bordigotta d’origine trapiantata in Belgio da quasi trent’anni, ricorda benissimo quello che è successo il 22 marzo scorso a Bruxelles, dove vive.
Trentadue, le persone che quel giorno persero la vita a causa degli attacchi suicidi di un gruppo di terroristi islamici. Un attentato, che dopo quello di Parigi del 13 novembre, ha sconvolto l’Europa.
Nonostante il suo appartamento si trovi a meno di due chilometri in linea d’aria dalla stazione metropolitana di Malbeek, uno dei due luoghi, insieme all’aeroporto di Zaventem, scelti dai terroristi per gli attentati, Giuliana Agnesi non si è accorta, inizialmente, di nulla: “Ero a casa da sola, davanti al computer”, racconta l’insegnante, “Come ogni giorno ho acceso il computer per vedere se ci fossero fatti particolari da commentare insieme ai miei studenti. Ho saputo così, che a pochi chilometri da me, erano morte delle persone”.
Fortunatamente nessuno dei suoi famigliari si trovava su quel treno per recarsi al lavoro: “Passiamo da quella stazione quasi quotidianamente, è stato un caso che non ci fossi. Solo un caso”. Da un giorno all’altro, per mano di un vile attacco, si può perdere la vita: “Ora la situazione si è normalizzata e, dopo il primo spaesamento, le prime inquietudini, il paese ha reagito: la vita deve andare avanti”.
“Devo dire, però, che gli attentati di Bruxelles, nonostante sia la mia città, non mi hanno angosciata più di quelli di Parigi”, confessa, “Perché l’angoscia non dipende dal fatto che gli attentati siano capitati vicini o lontani dalla propria casa, ma dal fatto stesso che siano capitati”.
“Tra l’altro il Belgio ha reagito in modo molto più severo quando gli attentati hanno avuto luogo nella capitale francese”, racconta, “Forse perché in quel caso si sapeva che i terroristi erano in fuga. Le scuole sono rimaste chiuse per tre giorni. Sono andata in chiesa e anche quella, l’ho trovata chiusa”.
Del 22 marzo, Giuliana Agnesi ricorda bene il terrore di un’amica di suo figlio, giunta a casa sua sotto shock: “Era su quella metropolitana un quarto d’ora prima degli attentati. E’ arrivata e mi ha detto: Giuliana, io a casa da sola non ci voglio più tornare. Ho paura”. E così la ragazza è rimasta in compagnia della signora Agnesi tutto il giorno: “Poi ci siamo dette: la vita deve andare avanti. E’ stato il destino, non c’è altro da dire”.
Un giorno di terrore e poi le prime ammissioni di colpa: “Tutti hanno sostenuto che il governo belga non fosse stato sufficientemente prudente. C’è del vero in questo. Ma è anche vero che non si possono tenere sotto controllo centinaia di persone. Certo però che si poteva fare di più”. Due ministri belgi, comunque, hanno rassegnato le dimissioni: un’ammissione di colpa che il paese ha gradito.
La situazione del Belgio, prima degli attentati, non era diversa da quella dell’Italia: “Accettiamo troppo a causa delle teorie buoniste. E’ vero, il 90 % di questa povera gente che emigra lo fa davvero perché è in cerca di una vita migliore. Sono delle vittime e vanno aiutate. Ma è vero anche che tra di loro si mescolano degli assassini. Ormai lo sanno tutti che la maggioranza degli attentatori in Europa ci è entrato così”.
Da qui il commento si sposta su Ventimiglia, città “calda” dal punto di vista dei migranti: “Il centro di accoglienza? Certo che lo conosco: ne parlano tutte le televisioni del mondo. E’ un bene che adesso si siano messi a fotosegnalare ed identificare chi si trova al suo interno. Ma non basta: chi viene qua per fare un attentato di certo non si presenta con documenti reali”.
“Ci sono tante cose di cui non ci viene detto nulla, la situazione è sicuramente molto complessa e complicata”, dichiara Giuliana Agnesi, “Io penso solo una cosa: penso che sono morti dei bambini e allora io potrei tranquillamente ammazzare i colpevoli se non fossero già crepati. E lo farei senza nessun rimorso sulla coscienza. Tutto questo non è giusto, gli attentati non sono giusti. Ma quando a morire sono anche i più piccolini allora trovo che sia leggermente più ingiusto”.
“Allora quando esco di casa”, conclude, “Penso che sì, forse non tornerò più, ma non mi importa: a farmi angosciare è il fatto che possa capitare a qualche bimbo, ai miei nipotini: a piccoli che ancora non hanno vissuto abbastanza per poter morire”.