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Un imperiese testimone del dramma dei migranti ad Idomeni, la “Dachau dei giorni nostri”

22 marzo 2016 | 08:26
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Un imperiese testimone del dramma dei migranti ad Idomeni, la “Dachau dei giorni nostri”
Un imperiese testimone del dramma dei migranti ad Idomeni, la “Dachau dei giorni nostri”
Un imperiese testimone del dramma dei migranti ad Idomeni, la “Dachau dei giorni nostri”
Un imperiese testimone del dramma dei migranti ad Idomeni, la “Dachau dei giorni nostri”

Al momento la situazione di queste persone è incerta

Simone Sarchi, giornalista freelance imperiese di Santo Stefano al Mare, si trova ad Idomeni dove rimarrà fino a sabato per riportare la grave situazione umanitaria al confine greco-macedone. Le colonne di Riviera24 ospiteranno i racconti e le testimonianze del collega Simone, da quell’angolo dei Balcani, diventato dopo Calais, Lampedusa e Ventimiglia una nuova zona calda del dramma dei migranti.

Idomeni (Grecia). L’aeroporto di Thessaloniki dista circa 100 km da Idomeni, al confine tra la Grecia e l’ex-Repubblica Jugoslava di Macedonia. È da qui che parte il mio viaggio al fianco di Mirco Fontanella fotografo conosciuto a Londra qualche anno fa.

L’obiettivo è quello di vedere con i nostri occhi e riportare cosa sta succedendo in questo piccolo e sperduto paese greco che si è ritrovato improvvisamente sul palcoscenico internazionale dopo la decisione delle autorità macedoni di bloccare i migranti diretti in altri paesi europei, in primis la Germania.

Tutto è iniziato a fine novembre dello scorso anno quando le autorità di Skopje hanno deciso di lasciare entrare nel paese solo i migranti siriani, iracheni e afgani. Qualche giorno dopo hanno innalzato un muro di filo spinato per rendere effettivo il provvedimento.

Nell’ultimo mese i migranti hanno cominciato ad accamparsi a Idomeni, sperando di essere tra i fortunati ad attraversare il confine. Ad oggi si contano circa 15mila persone (numero approssimativo e molto variabile a seconda della fonte) assistiti dalle varie Ong internazionali e dai molti volontari indipendenti.

Come se non bastasse, il 9 marzo, il governo macedone ha chiuso definitivamente la frontiera giustificando il provvedimento a seguito della scelta di Slovenia, Croazia e Serbia di non accettare più migranti senza documenti validi.

La rotta balcanica è ufficialmente chiusa. Questo, però, ha lasciato una crisi umanitaria unica nel suo genere e che nessuno si sarebbe aspettato potesse accadere all’interno dell’Unione Europea.

Il Ministro dell’Interno Greco, Panagiotis Kouroublis, l’ha definita una “Dachau dei giorni nostri” e le immagini che ci arrivano dai media di tutto il mondo non sembrano smentirlo.

Più ci avviciniamo a Idomeni, più mi prende il magone. La vista delle prime tende e dei primi migranti accampati a bordo strada e affianco ai binari del treno fa male, molto male.

 Ma arrivati al campo ci pensano i sorrisi dei bambini a rincuorarci il cuore. Sembra impossibile, ma anche in questa tragica situazione i bambini giocano, cantano, si rincorrono e la prima cosa che fanno è offrirci biscotti e zuppa. In fin dei conti, molti di loro conoscono solo la guerra, le bombe e la violenza. Allora anche Idomeni diventa un posto migliore dove vivere.

Dopo aver giocato per qualche minuto, un ragazzo siriano di 11 anni si avvicina, mi guarda, e in un inglese sgrammaticato e fatto di gesti mi chiede quando apriranno il confine. “Uno, due o tre giorni?” domanda facendo i numeri con le dita.

Imbarazzato gli rispondo che non lo so, che non lo sa nessuno e che forse non riaprirà mai.

“Bisogna essere onesti,” mi spiega un volontario inglese di origini pakistane. “Bisogna far capire che le autorità macedoni, questo dannato confine, non lo apriranno mai. Altrimenti si rischia solo di creare false speranze.”

Al momento la situazione di queste persone è incerta. Soprattutto ora che l’Unione Europea ha raggiunto un accordo con la Turchia. Il provvedimento non dovrebbe toccarli perché si applica solo a chi raggiunge le coste greche dal 20 marzo in poi, ma comunque si parla già del ricollocamento nei vari centri d’accoglienza sparsi per il paese.

Nel frattempo, alcuni hanno deciso di spostarsi volontariamente verso Atene e di abbandonare Idomeni sperando in tempi migliori.

Sono stufi di vivere in tenda, stufi di sprofondare nel fango, stufi del freddo, stufi delle code infinite per il cibo e l’acqua, stufi di condividere con centinaia di persone i pochissimi bagni chimici, stufi della precaria situazione igienico-sanitaria, stufi di non aver nulla da fare durante la giornata e stufi di essere ignorati dall’Europa.

(foto di Mirco Fontanella)