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Maltrattamenti in famiglia, che fare? L’avvocato risponde

22 marzo 2016 | 10:29
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Maltrattamenti in famiglia, che fare? L’avvocato risponde

Per contatti inviare mail a : luca-fonte@libero.it

Buongiorno Avvocato,

tempo fa mi sono separata da mio marito, il quale é stato condannato diverse volte per maltrattamenti in famiglia, verso la mia persona e in ragione di ciò incarcerato.

Nelle rare circostanze in cui lo stesso non é stato detenuto in carcere per le ragioni di cui sopra, é tornato a casa per brevi periodi e mi ha praticamente costretta ad avere rapporti con lui.

Io sono stanca di subire e non lo amo più.

Gli ho manifestato la mia intenzione di divorziare da lui, ma mi sono sentita rispondere che ora non posso più, dato che abbiamo avuto rapporti intimi e che lo dirà al giudice, se io intenderò procedere in tal senso.

E’ vero quel che dice? Non mi potrò mai liberare di lui?

Grazie.

Gentilissima signora,

al fine di verificare se quanto minacciato da suo marito ha un qualche fondamento, occorre in primo

luogo svolgere un’analisi dell’istituto dello scioglimento del matrimonio e della separazione dei coniugi.

Come previsto dall’art. 150 c.c. la separazione personale dei coniugi può essere di due tipi: consensuale o giudiziale.

Per quanto attiene alla separazione giudiziale, i relativi elementi sono appositamente previsti dall’art. 151 c.c., secondo cui “la separazione può chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione della prole”.

In ordine, invece, alla fattispecie dello scioglimento del matrimonio, generalmente indicata con il termine “divorzio”, é l’art. 149 c.c. a prevedere che il matrimonio si sciolga per la morte di uno dei coniugi, ovvero negli altri casi previsti dalla legge.

A tal riguardo va rilevato che l’istituto de quo trovi i suoi riferimenti normativi anche nell’ambito di norma speciale, la L. n.898/70 (legge sul divorzio), la quale all’art. 1 così dispone “il Giudice pronuncia lo scioglimento del matrimonio contratto a norma del codice civile, quando, esperito inutilmente il tentativo di conciliazione di cui all’art. 4, accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita per l’esistenza di una delle cause previste dall’art. 3”.

L’art.3 così richiamato, prevede, a sua volta, ulteriori casi, rispetto a quelli già individuati dal codice civile, in costanza dei quale é possibile richiedere lo scioglimento del matrimonio.

Più nello specifico il comma 1, lett d) dell’articolo in questione, prevede l’ipotesi in cui il coniuge, come nel suo caso, sia stato condannato a una qualsivoglia pena detentiva per il delitto di maltrattamenti in danno al coniuge o ai figli.

Ciò almeno due o più volte, con conseguente recidiva.

Va poi posto in evidenza che, secondo quanto disposto dall’art. 3 comma 2 della L. 898/70, “nelle ipotesi previste alla lettera d) il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio accerta, anche in considerazione del comportamento successivo del convenuto, la di lui idoneità a mantenere o ricostruire la convivenza familiare”.

E’ onere, quindi, del Giudice accertare caso per caso se, in presenza di una delle ipotesi di cui alla lettera d) dell’art.3, il convenuto sia in grado di mantenere o ricostituire la comunione di vita matrimoniale.

Fatte queste premesse, vengo ora a parlare del caso che mi prospetta.

Lei ha chiesto ed ottenuto la separazione giudiziale da suo marito, più volte condannato per casi di maltrattamenti in famiglia commessi ai suoi danni, essendo venuta mena la possibilità di un riavvicinamento materiale e spirituale tra di voi.

Occorre ora verificare se i successivi periodi di convivenza, accompagnati da rapporti intimi tra di voi, possano impedire di addivenire ad una dichiarazione di scioglimento del matrimonio, così come affermato da suo marito.

Va detto che, ad onor del vero, il già citato art.3, comma 2 L. 898/70, nell’ultima parte dispone che, per tutte le ipotesi di cui al n.1), in cui rientra quanto già previsto dalla lett.d), la domanda di scioglimento del matrimonio non é proponibile ove la convivenza coniugale sia ripresa.

L’ultimo inciso della norma citata, richiama quanto previsto dall’art. 154 c.c. in tema di separazione, il quale prevede, tra l’altro, che l’intervenuta riconciliazione tra i coniugi comporti l’abbandono della domanda di separazione personale già proposta.

Al fine di meglio chiarire la portata della norma in questione e fornire la soluzione al quesito proposto, occorre dare un significato ai termini “convivenza” e  “riconciliazione”.

E’ fuor di dubbio che entrambi alludano a una situazione di completo ed effettivo ripristino della convivenza tra i due coniugi, caratterizzato da stabilità e continuità, oltre che dalla ripresa dei rapporti materiali e spirituali tipici dell’unione matrimoniale, che insieme costituiscono il consorzio familiare.

Con riferimento al caso di specie, é necessario analizzare le concrete circostanze che hanno portato suo marito a riprendere, seppur se per brevi periodi, la convivenza con lei.

Suo marito ha utilizzato la casa come alloggio, nei brevi intervalli di tempo in cui non si trovava recluso presso la casa circondariale.

Stante questo stato di cose, posso affermare che tale coabitazione non può minimamente rientrare in quella prevista ex art. 3 L. 898/70, non essendo dotata dei requisiti di stabilità e continuità, volti al recupero pieno dell’intesa coniugale e familiare.

A ciò va aggiunto, poi, il palese e manifestato diniego che lei ha opposto a suo marito nel voler ritornare con lui, dal quale si evince, chiaramente, la mancanza di una volontà comune di ripristinare il precedente rapporto coniugale.

Deve, quindi, escludersi che la ripresa parziale della coabitazione, successiva all’instaurazione del procedimento di separazione personale, possa minimamente interrompere gli effetti di quest’ultima.

Di tale avviso é, altresì, la Corte di Cassazione che con Sentenza n.27386/14, ha avuto modo di precisare che “ per interrompere gli effetti della separazione ai fini della dichiarazione di scioglimento del matrimonio, la ripresa della convivenza non deve essere caratterizzata da temporaneità, essendo necessaria una concreta ricostruzione del preesistente vincolo coniugale nella sua peculiare essenza materiale e spirituale”.

In conclusione, posso affermare senza dubbi che quanto asserito da suo marito non appare corretto.

Alla stregua dell’orientamento giurisprudenziale richiamato, infatti, brevi periodi di coabitazione, seppur accompagnati da rapporti intimi tra di voi, non sono di per sé da soli sufficienti a mostrare una volontà univoca di ricostituire la precedente comunione di vita, tipica del rapporto coniugale.

Circostanza, questa, che pare chiaramente non sussistere.

Cordiali saluti.

Fonte Luca

Per contatti inviare mail a : luca-fonte@libero.it